x 2013, odissea nel sottosuolo
di Maurizio Porro
Previsioni dal sottosuolo. Nel 2013, dodici anni dopo l'Odissea di Kubrick, un altro Grande Fratello Tecnologico, un sofisticatissimo computer dalla voce femminile, vezzosamente chiamato Zed-10, fratello scemo di Hal 2000, regolerà i destini degli uomini, imprigionando in una fortezza che va fino a 33 piani sotto terra i colpevoli di procreare in un universo sovrappopolato e disperato.
È la multinazionale dittatrice Mel-Tel Corporation, da cui dipende il sistema difensivo mondiale, che controlla l'operazione, servendosi di un androide dal sorriso sprezzante, Poe, e del programma «intestinators» (sì, proprio così, come un medicinale), microprocessori intestinali che prevengono la fuga.
Tutto andrebbe regolarmente male, nel solito scenario del Medioevo prossimo-venturo, se non arrivasse in carcere il capitano John Brennick con moglie gravida. Inscatolati nel carcere di massima sicurezza, dove anche i sogni sono visualizzati e nulla è più privato, i due faranno scoppiare il finimondo: lui alleandosi con i compagni di cella (fra cui c'è sempre il "bravo negro"), come in tutti i film di galera che si rispettino, ruttando fuori il sistemino dallo stomaco e scoprendo, con una super lente la via della fuga che andrà a lieto fine, pur con alcune vittime; lei turbando i sonni dell'androide, che decide di metter su famiglia, desiderio che gli costerà il posto e la vita.
Nel finalissimo, finalmente usciti dal sottosuolo, ancora una volta minacciati da un camion computerizzato, i coniugi miracolosamente illesi, metteranno finalmente al mondo il bebè.
Quindici milioni di dollari, effetti abbastanza speciali e tre sceneggiatori non in stato di grazia per 2013 la fortezza, un film fanta-tecnologico, pieno di bip bip, di visori, di bottoni, di ologrammi, di campi magnetici, che sta ottenendo in sala un successo clamoroso e abbastanza inatteso.
Sarà l'angoscia del futuro, sarà il Millennio che finisce, sarà il fascino incomprensibile della realtà virtuale, sarà forse anche Christopher Lambert, il più magro e strabico dei Rambi in circolazione, ma il film piace. Sarà che, declinata ogni responsabilità psicologica, questo tipo di cinema si basa unicamente sulla sorpresa visiva, sulla vita ridotta a videogame, in una orgia di infantilismo coatto che non richiede scatti intellettuali.
Stereotipato anche nella sorpresa, il film non può che ripetersi, e citare, per il gaudio degli appassionati, decine di incubi filmici consimili e migliori, dal grande 1997 fuga da New York di Carpenter ad Atto di forza di Verhoeven, senza contare Blade runner.
Il regista, Stuart Gordon, viene dal film "gore", al sangue, e ci aveva deliziato con opere come Re-animator e Dolls, oltre a essere implicato nelle fantasticherie del dittico Tesoro…, con i ragazzi che diventano piccoli o grandi a dismisura. Naturalmente danno una mano i presagi, le scenografie in incubo verticale, le voci metalliche fuori campo, le doglie del parto della povera Loryn Locklin, la cattiveria al ghigno di Kurtwood Smith, mentre il simpatico Lambert non fa sottintendere niente di più che un pensiero a fumetti.
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