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Krull, pianeta ad effetti speciali


di Maurizio Porro


Paesaggi illuminati da due lune e da due soli, ora ridenti ma più spesso sinistri: siamo sul pianeta Krull, un luogo senza tempo e senza calendario, dove tutto può accadere perché il suo primo e unico comandamento è quello del fantastico. Peter Yates, regista che imbrocca spesso i suoi film, e soprattutto non ne fa uno uguale all'altro, questa volta ha preparato le cose in grande: Krull è in qualche modo la somma di tutto l'immaginifico che il cinema ha creato e codificato.

Vi si può riconoscere qualche ricordo di cappa e spada, ci sono reminiscenze delle "Guerre stellari" e naturalmente anche l'atmosfera di fiaba della saga di « Excalibur».

Lo stile, insomma, che oggi si chiama "fantasy" e che richiede eccellenti troupes di addetti agli effetti speciali. Qui gli effetti sono speciali e specialissimi, e le scenografie di Stephen Grimes in qualche brano straordinarie per le sensazioni che sanno ricreare attraverso le luci e i colori. Manca, se mai, al film, un baricentro narrativo che permetta l'approfondimento almeno di qualche personaggio, ma sono i peccati veniali di un grandioso spettacolo che strapperà "oh" di meraviglia al pubblico maggiorenne e manderà in tilt i ragazzi.

Perché, lungo l'arco di due ore di proiezione, c'è proprio di tutto: pugnali, spade, balestre, clessidre di cristallo. scrigni di smeraldi, una fortezza nera semovente, un veggente cieco (e il suo perfido «doppio»), folletti, ciclopi, gnomi, incantesimi, indovini, paludi, spade di fuoco, massacratori tremendi che vomitano meduse tipo "alien", la vedova della ragnatela, e il suo enorme ragno, metamorfosi animali, deserti di ferro e cavalli di fuoco che vanno a 110 miglia all'ora. Tutta questa attrezzeria del fantastico è al servizio del principe Colwyn cui i Massacratori, al comando della Bestia dei Male, hanno sottratto, la notte delle nozze, la candida principessa Lyssa.

Per riavere la sua sposa, l'eroico cavaliere deve prima, di tutto ritrovare la magica Glaive, sorta di boomerang con cinque aguzze punte che gli dà straordinari poteri, e poi attraversare e superare ogni sorta di sogni e di incubi prima di arrivare alla caverna del Male.

In questa lotta tra Amore e Potere, che nella prima parte sfodera anche qualche azzeccata tonalità umoristica, egli ha dalla sua Ergo il Magnifico, la cui specialità sono le metamorfosi, il fedele e saggio Ynyr, Torquil con la sua banda e un ragazzino. Finale in crescendo con la tela del ragno e l'uccisione della Bestia nella sua nera fortezza.

Vissero naturalmente felici e contenti, perché Krull è soprattutto una fiaba sorretta da tutte le tecnologie del cinema: cinque mesi di riprese, decine di set, trucchi strabilianti, e 16 rarissimi cavalli di razza Clydesdale. Non si può negare che tutto ciò risulti alla fine anche un po' troppo gonfio ed eccessivo, ma sarebbe ingiusto non dichiarare la semplicità del divertimento. Che gusto di aver ancora paura della lava, delle sabbie mobili e di temere per la vita delle principesse!

Né si può negare alla regia di Yates (recentemente distintosi per All american boys e Uno scomodo testimone) una sua mistica interna, e la stretta osservanza delle leggi della fiaba, che offrono le parti migliori di sé quando sono in scena malvagi, perché il Male è - da vedere - sempre più divertente del Bene.

Quanto agli attori, eccellono i comprimari, tutti inglesi, da John Welsh a David Battley a Freddie Jones (che presto vedremo sulla «Nave» di Fellini), mentre Lysette Anthony elenca dolcezze e Francesca Annis elargisce ambiguità. Le fatiche d'Ercole sono però sulle spalle di Marco Polo, ovvero Ken Marshall, che è un Colwyn simpatico ma non possiede la calamita del Mito, rimane sempre quel bravo ragazzo americano che sappiamo, ma l’espressività è, come dire, un po' frenata.






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