Metti un Bowie nel Labirinto
di Giovanni Grazzini
Strenna per i bambini, ma anche per quanti altri volessero arrampicarsi sull'albero dell'Impossibile da cui si godono i panorami più capricciosi. Confezionata con grande inventiva dal disegnatore inglese Brian Froud e dal regista Jim Henson, i quali già ci lustrarono gli occhi con Dark Crystal, dallo sceneggiatore dei «Monty Pyton» Terry Jones, dallo scenografo e dal truccatore di Indiana Jones, Elliott Scott e George Gibbs, dal memorabile George Lucas (qui produttore), dunque dai nipotini legittimi di quella tradizione favolistica che annovera tanti capolavori letterari, uno dei quali, Lo cunto de li cunti del secentista Giambattista Basile, proprio in questi giorni, vedi caso, torna in libreria edito da Garzanti, magistralmente tradotto e curato da Michele Rak.
Chi rischia di perdersi nel labirinto è Sarah, una quindicenne americana. Stufa di dover restare la sera in casa a custodire il fratellino, si augura che smetta di frignare, o che qualcuno se lo porti via. Detto, fatto: il perfido Re degli Gnomi, Jareth, lo rapisce con l'intenzione di trasformarlo in uno dei suoi sudditi, e lo rinchiude nel suo castello. Se Sarah, pentita, lo rivuole deve salire alla reggia attraversando un dedalo fitto di trabocchetti e di paventi. Dimostrando che il Male non ha alcun potere sull'Innocenza e il Coraggio, la fanciulletta s'avvia, e lungo il viaggio ha incontri da brivido: con vermi e mani parlanti, con rocce viventi, con armigeri e streghe, tutti sconfitti anche grazie all'aiuto prestato dal nanerottolo Goggle, dal gigantesco scimmione Bubo e da Sir Didimus, un baldanzoso cane volpino. Sfuggita, in lotta col tempo, alla Gora dell'Eterno Fetore e alla tentazione di abbandonarsi fra le braccia di Jareth, Sarah salva il fratellino, e si ritrova nella sua cameretta. Il sogno è finito, ma anche da grande lei avrà bisogno, come tutti, dei fantasmi dell'infanzia…
Chi fosse stato beneducato a leggere i titoli di coda dei film troverebbe in quelli chilometrici di Labyrinth la spia del gran lavoro costato a burattinai, pupazzieri, mimi, maestri degli effetti speciali, e tecnici elettronici.
Tutto sprecato, come hanno detto molti americani? A parer nostro niente affatto. Giacché il film ha qualche momento di stanchezza, e il suo lato debole nelle cinque canzoni di David Bowie che mal si accordano con quell'universo fantastico, ma è così ricco di sorprese, di gag tragicomiche, di idee visive da ripagare con la magnificenza della messinscena e l'ingegnosa creatività degli autori quanto appartiene a un repertorio narrativo che al pubblico adulto può sembrare un po' logoro.
In quel mondo «in cui tutto è possibile» e "le cose non sono sempre quelle che sembrano", l'umanizzazione degli oggetti e la caratterizzazione dei personaggi è spiritosamente felice, anche per merito dei nostri doppiatori, e conferma il talento di un'équipe che dal magazzino dell'immaginario classico (Grimm, Alice, King Kong, Il mago di Oz ... ) trae nuovi spunti di meraviglia. Dando il marchio del Male al sinistro David Bowie, e quello del Bene all'adolescente Jennifer Connery, che va in blue-jeans oltre il tempo e lo spazio. Chi va in cerca di strenne per la Befana sappia infine che, edito da Rizzoli, è in libreria Tutti i folletti di Labyrinth, «scoperti e miniati» da Brian Froud, «catturati e catalogati» da Terry Jones: un album elegante e spiritoso.
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