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Se una ninfa chiede aiuto agli umani


di Tullio Kezich


Uccidere un critico cinematografico è il sogno proibito di tutti i registi, ma fino a questo momento il solo Fellini in 8 1/2 aveva osato far impiccare dagli sgherri della produzione il cavilloso Jean Rougeul (trasparente allusione all'arcinemico Guido Aristarco). Ed ecco che M. Night Shyamalan ripete la prodezza in Lady in the water facendo sbranare l'antipatico Bob Balaban da una belva in libertà. Non c'è da meravigliarsi che i recensori americani abbiano ricambiato l'antipatia del regista stroncando ferocemente il film, che anche al botteghino non ha avuto fortuna. Amaro destino per un titolo finito al centro di un contenzioso tra l'autore e la Disney, che se n'era liberata in fase di preparazione. Ma il risultato, una volta trasferita l'impresa alla Warner Bros., sembra dar ragione ai dubbi sollevati dagli executives disneyani sui quali qualcuno ha addirittura scritto un libello per bollarli come filistei.

Tornando all'ipercritico Balaban, ciò che soprattutto l'autore gli rimprovera è riassunto nella battuta: «Non c'è più originalità a questo mondo ... Ci sono solo vecchie storie raccontate per l'ennesima volta».

Ebbene, alla luce della trama di Lady in the water, apparentemente nuova di zecca e perciò invisa ai produttori, temo che se incontrassi Shyamalan dovrei deluderlo. La vicenda di Paul Giamatti, ometto qualunque che tira su pallida e grondante dalla piscina del condominio la ninfa Bryce Dallas Howard, ha almeno un precedente datato 1925: quando nella commedia Alga marina di Carlo Veneziani il lepido Armando Falcon pescava nelle acque di Capri la sirena Paola Borboni. Di quel lontano successo si ricorda solo lo scandalo provocato dalla protagonista, la prima a esibire il seno nudo in uno spettacolo di prosa, ma chi conosce la storia minore del nostro teatro non ha motivo di stupirsi di fronte alla trovata della ninfa e del soccorritore. È proprio vero che nello spettacolo nulla si crea e nulla si distrugge.

Non a caso il regista indiano è nato in quel di Pondicherry, a pochi passi dall'«ashram» di Aurobindo meta di pellegrini misticheggianti da tutto il mondo. Trasferito con la famiglia a Philadelphia (nei sobborghi della città della Pennsylvania è ambientato il film) il cineasta ha saputo coniugare l'esoterismo subcontintale con Hollvwood in pellicole di successo quali Il sesto senso, Signs e The Village. Qui inventa di sana pianta una finta mitologia asiatica condensata in un «cartoon» che fa da prologo, dove si racconta che dopo il triste divorzio fra gli esseri acquatici e gli umani continuano a verificarsi vari tentativi dei primi di correre in soccorso dei secondi, peraltro contrastati da spaventose forze malefiche. Per la verità nel film sono gli umani del condominio «The Cove» a mobilitarsi in soccorso di una ninfa sperduta, incapace di ritrovare da sola il modo di tornare nel regno delle favole. Nella cupa verzura che circonda lo stabile si annida infatti la terribile Scrunt, una grossa jena dal graffio velenoso e assetata di sangue.

Per quanto riguarda l'atmosfera, come sempre nei film di questo autore, ci siamo in pieno; ed è anche azzeccato il confronto fra l'esangue creatura magica e il suo salvatore Giammatti, attore splendido nel registro minimalista oltre che sottilmente spiritoso. Però il contesto, pur offrendo qualche figuretta schizzata con gusto, è affollato e confuso, tra una studentessa coreana che traduce i racconti leggendari fatti dalla mamma in lingua originale, un enigmista utilizzato per trovare le formule magiche, uno scrittore di belle speranze (lo stesso Shyamalan, che si fa profetizzare un avvenire di successo), un culturista, una dama animalista, un complesso rock e il critico di cui si è detto. Man mano che procede, il film rischia insomma di estenuarsi nella chiacchiera dissipando poco poco la suggestione della prima mezz' ora.






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