Manichino vissuto tre volte
di Giovanni Grazzini
Birichinata di serie C, per la quale una volta tanto sconsigliamo di spegnere la Tv e muoversi da casa. Ossia esordio scemotto del regista Michael Gottlieb venuto dalla pubblicità, che t'inventa la storia di un Jonathan il quale s'innamora del manichino da lui stesso costruito, in cui si reincarna una fanciulla belloccia, prima vissuta nell’Egitto dei faraoni e poi negli anni di Cristoforo Colombo e Michelangelo.
Siamo nella Filadelfia di oggi. Dopo essere stato licenziato innumerevoli volte perché pretende di mettere un tocco di artista nei lavori più umili, il ragazzotto diviene addirittura vicepresidente di un grande magazzino quando allestisce vetrine sensazionali con l'aiuto del manichino femminile che se è solo con lui prende vita, prodigo di carezze, e torna inanimato se occhi estranei lo guardano.
Mentre il padrone di un locale concorrente si scervella per scoprire il segreto, e arruola un poliziotto balordo, trovato fra le braccia del manichino Jonathan è creduto un pervertito. Per salvarlo la sua ex fidanzata manda al macero tutti i fantocci del negozio, ma il ragazzo arriva in tempo e salva la sua prediletta, che - miracoli dell'amore - acquista carne ed ossa per sempre e diventa una brava mogliettina.
Recitato alla bell'e meglio da Andrew McCarthy e da Kim Cattrall, che all'occorrenza sì abbandonano a balli e canti per apparentare il film a spot e videoclip, Mannequin annovera qualche freddura nei dialoghi e spezza una lancia in favore della fantasia creativa, premiata dall'irrealtà, ma resta assai lontano dalle briose commedie romantiche hollywoodiane che tenta di aggiornare.
La sua ironia è insulsa, e quanto v'è di farsesco appartiene al genere più logoro. Sbadigli in sala.
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