Berlino riscopre "Metropolis" di Fritz Lang (con 25 minuti in più)
di Danilo Taino
Gli Anni Venti a Manhattan erano "straordinari". A Berlino, a quel tempo la città europea probabilmente più simile e più in competizione con New York, erano altrettanto eccitanti: solo più tragici, più ideologici, più disperati e confusi.
Avanguardia espressionista, innovazione e lotta di classe e nel 1927 produssero uno dei miti assoluti del cinema, Metropolis di Fritz Lang: la versione integrale, che non si era più vista da poco dopo il debutto, è appena stata presentata a Berlino. Una decina dei 25 minuti reintrodotti si possono già vedere al Museo del cinema e della tv della capitale tedesca. Soprattutto, la nuova Metropolis sarà proiettata alla Porta di Brandeburgo il 12 febbraio, a inaugurare la 60ma Berlinale.
Il film, muto, fu presentato il 10 febbraio 1927 nella versione di 2 ore e mezzo. Non fu un successo e, per ragioni commerciali, quattro mesi dopo fu tagliato dai produttori tedeschi della Ufa e dai distributori americani della Paramount.
Le parti eliminate, che si pensavano andate perse, furono ritrovate nel 2008 a Buenos Aires. Portate in Germania, sono state digitalizzate, restaurate e aggiunte alla versione finora conosciuta alla Friedrich Wilhelm Murnau Stiftung di Wiesbaden. Si tratta soprattutto di scene riguardanti caratteri non protagonisti ma, una volta reintrodotte, «l'intera struttura narrativa del film cambia», sostiene Anke Wilkening che ha guidato il restauro del film. In particolare, il tema dell'amicizia, caro a Lang, viene fuori più nettamente.
Metropolis fu il film più costoso della sua epoca e, considerando l'inflazione, uno dei più costosi in assoluto: più di 30 mila comparse delle quali oltre mille uomini calvi, una flotta di automobili, scenografie grandiose. È la storia di una città - l'austro-tedesco Lang si ispirò a New York per immaginare Metropolis - nella quale in superficie, nei bellissimi grattacieli, vivono i ricchi e potenti; sotto, un'umanità indistinta, carne da gettare nelle fornaci che lavora per far funzionare il tutto e tenere in piedi l'ordine sociale. L'imprenditore più ricco tra i ricchi, e con il palazzo più alto, John Fredersen, ha un figlio, Freder, che per varie vicende scende dal giardino incantato e si accorge della realtà. Da quel passo inizia una storia complicatissima condotta tra macchine, robot, fantascienza, sottoproletariato ignorante, citazioni bibliche. Con un finale che Lang stesso poi disconobbe: dopo una ribellione degli operai, Freder fa da mediatore e i lavoratori trovano un accordo con suo padre.
È il cuore (Freder) che mette d'accordo il braccio (gli operai) e lo stomaco (il capitalista), elementi che starebbero alla base della divisione sociale da preservare.
Nonostante il finale, che all'epoca provocò dibattiti accesi (piaceva a Hitler), la potenza e l'innovazione che contiene hanno fatto di Metropolis un film mitizzato. Reazionario, pesante e retorico. Ma «il più bel libro di immagini mai visto», Luis Buñuel. Ora, ancora un pò meglio.
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