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Ecco "Metropolis" a tempo di rock


di Leonardo Autera


Pochi giorni fa, il 4 settembre, informammo da Venezia - dove ottenne un clamoroso successo- sul maestoso capolavoro muto di Fritz Lang Metropolis trasformato in opera rock da Giorgio Moroder, il compositore altoatesino (di Ortisei) ora cittadino di Hollywood. Nell'accostarci alla manipolazione del famoso kolossal fantascientifico realizzato dal regista viennese tra il 1925 e il '26 (in 310 giorni e 60 notti di lavorazione alla UFA di Bertino) non nascondemmo il nostro timore di assistere a un crimine di lesa maestà artistica, di trovare irrimediabilmente contaminato il fascino che il film ci aveva trasmesso in anni lontani. Tra l'altro pensavamo che, se proprio si voleva approntare un'edizione sonora di Metropolis rispettosa dell'originale, bastava rifarsi allo spartito composto da Gottfried Huppertz nel 1926 appositamente per il film.

Vista e udita poi la rielaborazione di Moroder ne siamo rimasti ugualmente avvinti e affascinati. La stupefacente "fotogenia plastica" - cosi la definiva Buñuel - del racconto avveniristico ambientato nel 2020, l'imponente lavoro di stilizzazione effettuato da Lang (le spinte gotiche delle scenografie che ricorrono all'"art-déco" come all'espressionismo, le prodigiose geometrie delle grandi masse in movimento, la dinamica del montaggio in parallelo, il "kitsch" avvampante nelle scene del quartiere del peccato, lo slancio della recitazione con quella "doppia" Brigitte Helm al suo sfolgorante debutto appena diciannovenne: per non dire della meravigliosa allegoria della Torre di Babele e degli stupefacenti effetti speciali nella trasformazione del robot nelle sembianze della protagonista) conservano una tale forza da sopportare qualsiasi contaminazione.

Del resto Moroder, benché si sia preso qualche licenza (mancano alcune azioni parallele, forse soppresse per favorire la continuità delle musiche), ha condotto l'operazione con sufficiente amore. Le sue otto composizioni rock sono carezze voli, alla maniera "new wave", mai "hard" né frastornanti. Inoltre ha virato le immagini come si usava nel muto, conferendo dominati ocra alla metropoli di superficie e tinte fredde al sottosuolo brulicante di schiavi. Certo lo ha fatto a modo suo, inserendo varianti in oro e tingendo d'azzurro le pupille luccicanti del robot. Ma, tutto sommato, non si può parlare di tradimento.

Bisogna anzi convenire che soltanto così aggiornato Metropolis sta offrendo "a un'intera generazione di scoprire un capolavoro che non avrebbe mai visto in edizione muta".






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