Castigo senza delitto
di Lietta Tornabuoni
Inizio folgorante di "Minority Report" di Steven Spielberg. A Washington nel 2054 s'è trovato modo di identificare chi pensa di perpetrare un omicidio: non chi uccide, ma chi ha il desiderio, la tentazione, il progetto, la pulsione di uccidere; non chi ha compiuto un crimine, ma chi vorrebbe-potrebbe commetterlo. Così la polizia può bloccarlo, fermarlo, ibernarlo.
L'assassinio non esiste, ma il potenziale assassino è eliminato. Grande idea, grande tema del film tratto da un racconto di Philip K. Dick, che pare aver fornito l'ispirazione per la "guerra preventiva" che il presidente Bush vuoi muovere all'Iraq e a chissà quanti altri piccoli Paesi disobbedienti all'America: il castigo precede il delitto, il processo alle intenzioni è l'unica forma di legge, la privacy è superata dalla protezione e la protezione diventa prigionia.
Poteva essere un film-chiave delle società contemporanee, uno dei film più importanti del Duemila. Invece il tema così magnificamente impostato si perde, si sfilaccia in sottotemi diversi. Naturalmente nel film si scopre che il modo di identificazione degli aspiranti criminali può essere insicuro, fallace, abusivo; che si può ripiegarsi su se stesso e costringere Tom Cruise alla fuga; eccetera. Anche se Spielberg non ha avuto l'ardire di sviluppare il tema, "Minority Report" offre cose straordinarie: l'occhio testimone di identità, gli effetti speciali meravigliosi, Tom Cruise finalmente adulto, momenti alti di tenerezza, di desolazione, di spavento. Per quanto imperfetto ogni film di Spielberg ha una ricchezza, un fascino, una magia, una forza che curiosamente non vengono indeboliti dalle citazioni commerciali, ma ne traggono calore, energia. In realtà gli elementi commerciali appartengono all'autore quanto il resto, sono perfetti ricordi d'infanzia e di adolescenza che Spielberg ha accumulato come esperienze di realtà e che evoca con un'intensità tanto calda e rara da modificarne il segno corrivo, inferiore.
La volgarità del cinema di Spielberg, quando c'è, è talmente introiettata da rappresentare una parte della personalità dell'autore che emerge nei film con una sincerità pari allo slancio sentimentale o alla riflessione intellettuale.
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