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Guai a infrangere quello specchio


di Leonardo Autera


Un horror di serie B, del tutto trascurabile se non portasse la firma autorevole del tedesco Ulli Lommel, uno dei primi e migliori discepoli di Rainer Werner Fassbinder. Oltre che collaboratore e interprete di una decina di opere del maestro, Lommel è il regista del mirabile La tenerezza del lupo (girato nel 1973 e visto anche in Italia nella scorsa stagione) e di altri quattro film realizzati in Germania, tra i quali il molto discusso e controverso Adolf e Marlene dopo il quale si è trasferito definitivamente negli Stai Uniti. Qui, nell'ambito dei cinema indipendente, ha alternato opere di un certo impegno (Black generation) o assai curiose (Cocaine Cowboys), interpretato da Andy Warhol, che dovremmo vedere in questa nuova stagione) ed altre decisamente anonime e dozzinali come è appunto Mirror: chi vive in quello specchi (The boogey, man nell'originale).

Soltanto ragioni alimentari possono aver indotto Lommel a confezionare con la mano sinistra una storia di spaventi affidandosi a stereotipi raccattati da altri film del genere.

Discretamente nuovo è solamente il motivo centrale dello specchio che, avendo ritratto l'atroce assassinio di un uomo da parte di due bambini, fratello e sorella, che lo avevano sorpreso in laido amplesso con la loro madre, ha racchiuso in sé lo spinto vendicativo dell'assassinato. Questa forza malefica si scatena vent'anni dopo quando la ragazza, ossessionata dal lontano ricordo, riduce in frantumi lo specchio.

Allora, da ogni suo frammento disperso qua e là scaturisce lo spettro invisibile del morto che intraprende una catena di atroci delitti, senza tuttavia riuscire a colpire i due giovani veri responsabili della sua condanna (ma il finale non è del tutto consolatorio.

Il caso sovrannaturale è abbastanza ridicolo e lascia supporre qualche intendimento ironico da parte del regista accentuato dalla presenza di uno psicanalista, trattato buffonescamente e dal ricorso senza risultato ad un prete esorcista (tanto per citare il famoso film di Friedkin). Ma il risultato è troppo caotico e maldestro per essere preso in seria considerazione. Assai arrangiata anche l’interpretazione di Suzanna Love (pure responsabile della sceneggiatura assieme a Lommel) e Ron James, mentre a John Carradine (patriarca dell'ultima generazione di attori di Hollywood) è riservato il ruolo ingrato del poco raccomandabile psicanalista.






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