La piccola Dorothy torna a Oz
di Leonardo Autera
Dai quattordici libri dì Lyman Frank Baum, 1850-1919 che costituiscono il ciclo di Oz sono stati tratti in America numerosi film e commedie teatrali. Tra le versioni cinematografiche, inziate nel 1914, dei favolosi viaggi della bambina Dorothy nel regno della fantasia, la più famosa e affascinante resta senza dubbio quella del 1939. Il mago di Oz, realizzata in forma di musical da Victor Fleming (chiamato subito dopo a dirigere Via col vento) per l'interpretazione dell'allora sedicenne Judy Garland. Il film, come quasi Tutti gli altri film della serie, si rifaceva al primo e più fortunato racconto dello scrittore (da qualcuno imprudentemente considerato il Lewis Carroll americano) e traeva partito da situazioni costantemente gioiose e incantate molto confacenti al pubblico infantile.
Differente è il caso della recentissima produzione Disney Nel fantastico mondo di Oz
(Return to Oz), che si rifà invece a due altri racconti di Baum, "The land of Oz" e "Ozma of Oz", dai toni tristi, cupi e desolati spesso accentuati dalle immagini del film. Si narra infatti di un secondo viaggio della sognante Dorothy nel mondo di Oz dopo che i suoi familiari, per impedirle di sognare, l’hanno affidata a un dottore che in una notte di tempesta, in un laboratorio simile a quello di Frankenstein, starebbe per sottoporla ad elettroshock se la bambina non riuscisse a fuggire all'ultimo momento.
Da qui il nuovo sogno di Dorothy è piuttosto un incubo.
Arrivata ad Oz in compagnia della gallina parlante Billina, anziché col cane Toto, vi trova la città di smeraldo completamente distrutta e i suoi amici di un tempo, l'Uomo di latta e il Leone codardo, trasformati in statue di pietra come tutti gli altri abitanti. Riesce tuttavia a farsi due nuovi amici, il simpatico robot Tik Tok e Jack dalla testa di zucca, con i quali affronta la perfida principessa Mombie che colleziona teste di belle fanciulle per sostituirle di volta in volta alla sua. E siamo già nell'orrido prima che la bambina e i compagni raggiungano, a bordo di un sofà volante guidato da una testa di cervo con muso di cammello, il regno sotterraneo del cattivo re Nomo fatto di roccia (nella versione italiana chissà perché chiamato "re degli gnomi") il quale è solito tramutare i propri ospiti in oggetti da soprammobile, come ha già fatto anche con lo Spaventapasseri, il più caro amico di Dorothy nella fantasia precedente.
Inutile aggiungere che la bimba vincerà la scommessa con il tiranno di individuare l’oggetto che racchiude lo Spaventapasseri (restituito così alla vita, ottenendo anche la promessa di restituire al primitivo splendore la città di smeraldo e di poter riavere le famose pantofole di rubino per tornare nuovamente a casa.
Ciò che farà dopo che il risorto popolo di Oz avrebbe voluto proclamarla propria regina, carica che ella invece lascerà alla legittima sovrana Ozma.
Il film, costato 28 milioni di dollari, doveva essere uno dei maggiori impegni produttivi della casa Disney nel campo dei lungometraggi con attori.
E dove il denaro sia stato speso si vede dalla dovizia degli effetti speciali e da talune imponenti scenografie (specie le sale della tenebrosa dimora della principessa Mombie e l’immenso luccicante salone della reggia in cui, alla fine, si svolge il grande corteo trionfale). Eppure rimane un senso di povertà nell'elaborazione della materia, in gran parte dovuta alla fiacca e maldestra regia dell'esordiente Walter Murch (già prestigioso montatore, tra l’altro. di Apocalypse Now), il quale non ha saputo contornare di adeguata simpatia né la piccola protagonista (interpretata dalla paffutella Faizura Balg di dieci anni) ne i suoi compagni meccanizzati (con la sola eccezione del tondo robot Tik Tok), Ma soprattutto colpisce negativamente la tetraggine delle atmosfere, poco adatte al pubblico piccino al quale il film intenderebbe rivolgersi.
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