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Questo pazzo, pazzo pazzo, pazzo Abel


di Lietta Tornabuoni


Da "New Rose Hotel" Alberto Pezzotta, che ha dedicato ad Abel Ferrara un saggio da poco pubblicato da "il Castoro", fa derivare un giudizio severissimo: «Ferrara è diventato un tecnico, abile a fare film con nulla, senza azione, con tre attori che verosimilmente improvvisano e dicono le prime scemenze che gli passano per la testa… Arriva all'istituzionalizzazione di uno stile: immagini video che si mescolano alla pellicola, povertà esibita, casualità vera o finta che sia, buio, confusione narrativa…

Ferrara stesso ormai fa più cinema nelle conferenze stampa o nelle apparizioni televisive (che nei film)».

Si capisce che film estremi provochino critiche estreme, e infatti tra i primi spettatori di New Rose Hotel molti si chiedevano se a Ferrara fosse andato il cervello in acqua, se la chimica se lo fosse divorato, se avesse perso la testa (il dito picchiettante sulla fronte a indicare follia era il gesto d'accompagnamento più frequente di simili discorsi). Magari le cose non stanno esattamente così. In questo film, Abel Ferrara non ha accanto il suo sceneggiatore fisso, l'amico di sempre Nicholas St. John, cattolicissimo nel modo più tradizionale, cultore dei sensi di colpa e del rimorso, insomma la sua anima (nera), la sua presenza etica: fa ricorso invece a un racconto di William Gibson, e gioca con la propria bravura.

Il risultato è turpe, triviale e irresistibile, come può essere la realtà contemporanea. Ambientato tra le pareti di stanze d'albergo e bar notturni, "New Rose Hotel" racconta trucidamente e confusamente un mondo dove si traffica in virus, in alluminio e in esseri umani, in spionaggio industriale e in defezioni di scienziati inventori da una grande azienda all'altra.

Christopher Walken con la schiena spezzata che si trascina aggrappato al bastone e Willem Dafoe vestito di nero (“due cowboy”) si impegnano a procurare a un'industria un genio giapponese che vale miliardi; offrono molti soldi ad Asia Argento perché lo seduca con la sua sapienza sessuale, sottraendolo al lavoro e alla famiglia; dandole lezione di sesso, Dafoe s'innamora follemente di lei. Ma la ragazza frega i suoi mandanti, Walken si uccide e Dafoe, aspettando di morire, ripercorre la storia con lei: si ripetono dunque brani precedenti già visti del film, si fa insistente il sospetto d'una presa in giro da parte del regista, si subisce il fascino romantico, lurido e disperato dell'esile storia.

L'oscurità, la confusione, l'improbabilità della vicenda tra crudeltà capitalista e avventurosità adolescenziale, la sfida costituita dalle immagini video o che imitano le riprese in videocamera, la provocazione rappresentata dalla ripetizione delle scene, fanno di "New Rose-Hotel" un film di crisi o di cinismo: il più simile ad Abel Ferrara, e insieme il più dissimile.

Ambiguità, chiacchiere sul sesso orale ("Cosa cerchi?". "Il pompino perfetto"), canzoni morbose e legnose, battute ironico-sentenziose ("Cosa credi?", "Che domani è un altro giorno e che la vita è una lunga agonia").

E Asia Argenta, seducente prostituta con un angelo tatuato sul pube, ragazzina affascinante, cattiva, puerile, imprevedibile, nel rimescolamento delle culture e nelle nebbie oscure della post-modernità resuscita il classico personaggio femminile de "La noia" di Alberto Moravia: magari inserito nel nuovo scenario (mai mostrato, soltanto enunciato) di una guerra tacita fra le multinazionali che governano il mondo con le armi tecnologiche, lasciando ai governi il compito di riscuotere tasse su commerci remoti da ogni idea di umanità, indegni.






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