Un "horror" che diverte chi resiste al ribrezzo
di Giovanni Grazzini
Piatto del giorno: spezzatino di carne umana. Se il cliente gradisce, una porzione abbondante gli è offerta dal seguito, dodici anni dopo, d'uno dei più demenziali «cult-movie» dell'horror americano, per il quale lo stesso regista Tobe Hooper si è rivolto al versatile sceneggiatore texano Kit Carson (autore fra l'altro del copione del recentissimo Invaders). Che attraversando un momento di humor nerissimo immagina una danza macabra al mattatoio.
Protagonista ne è Drayton Sawer, un cuoco ambulante premiato dai concittadini per le sue squisite ricette. I poveretti non sanno che egli ha la cucina in un lunapark abbandonato, e che i suoi fornitori sono i figli Facciadipelle e Testadilatta, i qualì battono nottetempo Dallas e dintorni per squartare giovani e vecchi. Orripilante scoperta ne fa Stretch, la disc-jockey d'una radio privata che ha inciso su nastro le urla di terrore d'una coppia di ragazzacci, e alla quale si è rivolto per aiuto il fratello d'una delle vittime del film precedente, un Lefty che intende la vendetta come una missione religiosa. Riuscendo in qualche modo a sedurre Facciadipelle, la signorina evita la sega elettrica, l'arma preferita dai cannibali, ma la sua ora sembra venire quando il patriarca della banda la prende a martellate. Se si salva è perché Lefty, munito a sua volta di motoseghe, vince il duello fatale.
Peccato che sia la ragazza sia il vendicatore, esaltati dalle nefandezze cui hanno assistito, siano anch'essi colti dal deliro...
Raccogliendo e portando al parossismo gli elementi comici che erano già in Non aprite quella porta, Tobe Hooper fa oggi una parodia di se stesso, del genere horror, del falciare texano in cui il sociologo a ogni costo può anche leggere una metafora della follia americana e di quanti, utilizzando uomini e donne quale carne da macello, ne sono celebrati come glorie nazionali.
Il senso del film sta comunque nel punto di fusione tra farsesco e raccapricciante, nell'universo paranoico di cui tutti sono partecipi, strappati alla realtà da costumi collettivi che identificano la vita col suo spettacolo.
È rischioso negare che il film lasci traccia. Ce ne possiamo ritrarre inorriditi, perché certe scene sono da Grand Guignol (Stretch si trova sul volto il viso scuoiato di un suo amico mentre la motosega le accarezza le cosce, il sottosuolo è popolato di scheletri e mummie, i muri reggono quintali di budella, si servono pâtés di bulbi oculari...), ma chi regge il ribrezzo può persino divertirsi. Molti luoghi comuni del cinema sugli spaventi sono ribaltati in gag burlesche, il mito della famiglia riceve un altro colpo gobbo, e il sacrilegio investe anche le parole del salmista.
Nonostante l'eccessiva loquacità degli assassini, e il concerto per urli e sogghigni, il film è dunque più azzeccato di quello che l'ha preceduto, anche per le invenzioni scenografiche di Cary White, per gli effetti speciali ottenuti dai truccatori, per la musica dello stesso Tobe Hooper e di Jerry Lambert.
Gli attori obbediscono agli ordini, Dennis Hopper dando fuori da matto come giustiziere con cappello da cowboy, e Jim Siedow facendo il gastronomo simpaticone.
Addetti allo scannatoio, Bill Johnson e Bill Mosley ascoltano con noncuranza le grida disperate di Caroline Williams. E prepariamoci a leggere, come già ci è accaduto, che il regista Tobe Hooper è un sublime maestro dell'horror. Che classe, che morbido taglio, dicono i suoi entusiasti ammiratori...
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