Psycho II, con nostalgia di Hitchcock
di Maurizio Porro
Norman Bates è tornato a casa, ventidue anni dopo, reduce dalla clinica psichiatrica. Vi dice niente? È lui che uccise a pugnalate, ventidue anni fa, sotto la doccia, la povera Janet Leigh e questa è proprio la sequenza (peraltro girata da Saul Bass e non da Hitchcock) che apre, con un omaggio al maestro, Psycho II.
Fortuna ha voluto che la famosa casa gotico-vittoriana - ormai design dell'horror - sia rimasta quella (la Universal l'aveva giustamente conservata), perché è probabilmente l'unica vera affinità che esiste tra i due imparentati thriller. Il primo, come si sa, entrato nel novero dei capolavori; il secondo, come si saprà, entra soltanto nel novero dei ricalchi. L'australiano Richard Franklin, autore dell'interessante Patrick, è un allievo che è stato molto attento alla lezione, ma del professor Hitchcock ci riporta solo gli elementi esteriori (altre docce, altri coltelli sempre illuminati a dismisura, altre paludi, altri gufi impagliati), mentre rimane quasi sempre assente quella tensione interna che nel primo Psyco si esprimeva magistralmente nel montaggio, nella fotografia in bianco e nero, negli incredibili movimenti di macchina, nella perfetta commistione, insomma, degli elementi portanti del cinema.
Psycho II accumula invece troppe cose e troppo presto, si ha come l’impressione di continue gaffes. Norman Bates torna a casa, tra le proteste di Lila, sorella dell'uccisa, che avverte trattarsi di psicopatico incallito, e subito iniziano presagi tremendi che si materializzano sotto forma di amorosi ma categorici bigliettini lasciati dalla mamma. Quella mamma impagliata e con parrucca, che manovrava la lama assassina dopo essersi identificata col figlio, che si sa solo oggi, l'aveva assassinata col tè.
Chiaro che qualcuno gioca nell'ombra per farlo impazzire di nuovo, il giovanotto.
Sarà il nuovo gestore del motel, diventato un ritrovo di sesso spicciolo? Sarà la giovane collega dello snack bar dove Norman lavora e che si scopre poi essere la figlia di Lila? Sarà per caso lo psicanalista, vittima di un transfert all'incontrario?
Fatto sta che la situazione peggiora a vista d'occhio. È un supermarket di nevrosi. Il direttore del motel è licenziato e, subito dopo, assassinato; stessa sorte tocca a un ragazzino che va a pomiciare in cantina; e poi molti altri ci rimettono le penne, mentre Norman vede sangue dappertutto e la mamma è sempre più minacciosa, perché la ragazza dello snack, quella sembra proprio una cosa seria. Sorpresona finale, dopo che la dimora si riempie di mamme finte, con parrucche che saltano dai pavimenti e telefonate in falsetto. Lo sceriffo dice che non può mettere sotto controllo i telefoni: "Qui non siamo mica a Washington" dice burbero - siamo in California”. Il problema per Norman è che di mamma non ce n'è una sola: mai credere alle apparenze.
Ma lasciamo pure sospeso il fiato che c'è da sospendere.
Pur con risvolti talvolta grotteschi, Psycho II, nell'accelerazione della vicenda, non offre che suspense a buon peso, tanto comunque da non provocare mai noia.
Franklin è un regista non ispirato, ma lo aiuta comunque il mestiere. Peccato che la storia non abbia le tragiche e allucinate cadenze della memorabile colonna sonora di Herrmann, ma quelle più consuete e da night di Jerry Goldsmith; peccato che Anthony Perkins, invecchiato ma non poi tanto, faccia il remake di se stesso; peccato che Vera Miles strabuzzi tanto gli occhi, e che la quasi debuttante Meg Tilly (la rivedremo nell'Amadeus di Foreman) sia una presenza graziosa e nulla più, in questo Grand Motel Edipo.
La cinepresa si muove veloce e in modi anche inusitati e curiosi, se senza il tocco di classe di sir Hitchcock, che è però puntualmente ringraziato nei titoli di coda. Ci associamo: grazie, Hitch.
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