Il pugnale di Perkins ha colpito ancora
di Maurizio Porro
Dicono che il 90 per cento degli americani, dopo i 12 anni, ha una certa familiarità con la storia di Psycho, conosce Norman Bates, e probabilmente non lo odia, perché è un assassino redento dalla sua stessa sofferenza e rappresenta la vittima record del matriarcato americano.
La Universal mette in cantiere questo Psycho III - che l’altra sera, al "Mystfest" di Cattolica, ha mobilitato le folle e ha dovuto essere proiettato una seconda volta, in piena notte, a furor di popolo cinematografico - ha tenuto presente il fattore umano più che il ricordo indelebile del capolavoro girato da Hitchcock nel 1960 e, affidando il ruolo di regista ad Anthony Perkins, ha forse inteso risarcirlo per una parte che l'ha occupato a tempo pieno per 26 anni stroncandogli o quasi la carriera un po’ come la Falconetti, diventata pazza dopo la "Giovanna d’Arco" di Dreyer.
Torniamo dunque in quel motel vicino alla palude, diventato, nel frattempo, luogo di culto delle visite organizzate negli studios di Hollywood, a fianco della casa vittoriana dove vive la vecchia madre, con alle pareti impagliato il complesso di Edipo, versione maxi. Comunque Norman-Perkins torna nel luogo del delitto e la gente del luogo sarebbe pronta a perdonarlo, come del resto la maggior parte del pubblico, perché pensa che ha pagato le sue colpe.
Già in Psycho II si era disponibili a fargli uno sconto sulla pena, giacché avevamo saputo che non una, ma due mamme erano in agguato su di lui. Ma le cose non andranno lisce: lo si capisce subito dalla sequenza iniziale in cui una novizia tenta di uccidersi perché non ha la vocazione ma, salita in cima al campanile, per sbaglio butta nel vuoto una monaca.
Vi ricorda nulla? Sì, certo, La donna che visse due volte: è un omaggio così ingenuo e declamatorio, che in sala la gente applaude, e applaudirà ancora in seguito, sempre tra il serio e il faceto.
In questa terza parte (che a nostro parere raccoglierà un numero di spettatori maggiore del previsto, perché è come un Hitchcock da supermarket, uno Psycho-fai-da-te), questa Maureen, reduce dal convento, arriva nel motel di Norman Bates, e amoreggia con il suo impiegato, Duane, anche lui un tipo mica tanto giusto, che seduce vecchie signore, si fa pagare le informazioni, e scaraventa ignude fuori dalla porta le ragazze con cui ha consumato. Infine, tra le novità, c'è anche Tracy, una insopportabile reporter che fa indagini e sociologia sugli assassini psicopatici.
Queste le premesse: immaginatevi voi lo spreco di coltellate, di inquadrature sghembe (e quindi gotiche, secondo la fantasia popolare), di urla, di ragazze svestire e subito dopo insanguinate, mentre Perkins, sempre più rattrapito, sempre più somigliante alla mamma, arriva brandendo il coltellaccio, fa la voce chioccia, si pente e poi ci riprova, cambia personalità veloce come le porte girevoli dei film comici del muto. Merita anche compassione, perché all'inizio cerca di uccidere subito Maureen, ma la poverina (che gareggia con lui per il Nobel della nevrosi) non solo fa il bagno in vasca invece che la doccia, ma poi ci ha già pensato da sola, tagliandosi le vene.
Figuratevi che lui la salverà. Sono comunque multe le donne e le fanciulle che faranno una brutta fine, prima che Norman venga ripreso e riportato in carcere: in macchina, con la polizia, si sente finalmente libero. E intanto, come le dame del settecento, per grattarsi usa una manina che conosce bene; sì proprio quella della mamma ormai ridotta in gadget.
Temevamo il peggio, e in effetti Perkins, come regista, è un emporio di effettacci, ma non si può negare che, nella sagra dell’orrore, dimenticando naturalmente Hitchcock, resista un certo brivido goffo per la demenziale continuità delle efferatezze, e che una certa atmosfera nera, lugubre, di pazzi per amore, di provincia americana sordida, di puzza di hamburger e patatine, questa ci sia e diffonda il suo olezzo, grazie anche alla bella fotografia di Bruce Surtees. "Ho sentito affinità per la materia" - disse Perkins - per questo ho voluto dirigere io il film" e non c'è dubbio che, pur a scossoni, mandi avanti la storia ormai quasi logora, così come ripete, per la terza volta, il suo personaggio, seguendo le tracce di una vicenda che sembra lecito prendere sorridendo, come stereotipo del cinema, e che ci auguriamo sia Paolo Poli, a recitare, in Psycho IV.
Con Perkins e contro Perkins ci sono Diana Scarwid, che già patì molto facendo la figlia della Crawford in Mammina cara, un giovanottone, off Broadway, Jeff Fahey, e una distinta caratterista, Roberta Maxwell, che viene dalla scuola di Thelma Ritter. Ripeto, trattasi nel complesso di macelleria, ma presa in un negozio che una volta ci aveva serviti molto bene e di cui serbiamo un gran bel ricordo. E poi all'assassino Tony Perkins, diciamo la verità, siamo tutti affezionati.
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