Fantascienza e horror dalle parti di Nettuno
di Maurizio Porro
Addì 2047. Una missione di soccorso va nello spazio per scoprire qualcosa sul destino fantascientifico della nave scomparsa Event Horizon. È come se l'equipaggio, dopo 56 giorni di ibernamento statico, andasse oltre le colonne d'Ercole, perché poco alla volta ci si accorge che accade qualcosa d'inesplicabile, al di là delle leggi del tempo e dello spazio. Il più a rischio è lo scienziato che sconta il complesso di colpa per il suicidio della moglie, ma tutti tremano di fronte alla visione allucinata degli spiriti degli inferi. Per fortuna che il buon capitano nero, con i nervi saldi, riporta tutti, non solo metaforicamente, coi piedi per terra.
Manierismo spaziale in Punto di non ritorno, il film di Paul Anderson (ex Mortal kombat) che unisce, con la complicità di rumori molto molesti per il sistema nervoso, la fantascienza e l'horror. Giacché un tema di questa portata spirituale viene poi risolto con qualche effetto digitale e una cascatona rosso sangue (citazione da Shining). Ma il film non sopporta pesi morali né ideologici, è un noioso viaggio tra modellini planetari oltre Nettuno e dintorni, in cui ogni tanto il regista pone invano un rumore dolby sopra ogni decibel.
Eppure viene tirato in ballo tutto lo scibile umano e disumano, la nave che va più veloce della luce, la forza vitale nascosta nelle cose, mentre attori dalla faccia patibolare (Fishburne, Neill, Ouinlan, la Richardson) scontano la pena del contrappasso filmico pronunciando, senza emozione né loro né nostra, una serie infinita di battute tipiche: come «lo scanner è uscito fuori scala», in uno slang che comprende l'«avvicinamento ottimale» e il «trasferitore gravitazionale» ed imperativi come «attiviamo le unità termiche», «abbiamo aria sufficiente per 20 ore», mentre noi pensiamo solo se farà freddo all'uscita.
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