Uno scrittore fra ossessioni e manie
di Giovanni Grazzini
Il narratore e drammaturgo olandese Gerard Reve, pochissimo noto in Italia, ha fatto tra l'altro l'infermiere in una clinica per malattie nervose. Deve essersi anche ricordato di quella esperienza dando il proprio nome al protagonista del racconto "Il quarto uomo", che un altro Gerard (Gerard Soeteman) ha sceneggiato e il regista Paul Verhoeven (47 anni), portato sullo schermo per il piacere di chi gradisce il realismo magico di scuola fiamminga.
L’eroe è qui infatti uno scrittore, appunto Gerard Reve – ma c’è da credere che l’omonimia derivi dal gioco autoironico -, con poco sale in zucca.
Amico del bicchiere e fortemente tentato dai bei ragazzi, Gerard soffre di incubi. Quando va nella cittadina di Flessinga per una conferenza sembra darsi una calmata perché la bionda vedovella Christine, padrona d'un salone di bellezza, gli apre la casa e le braccia.
Ma è singolare che, al sommo del piacere rivolga alla donna il saluto dell'arcangelo Gabriele a Maria. Né era prevedibile che, il giorno nel quale scopre le tragiche circostanze in cui Christine ha perso ben tre mariti, Gerard tema d'essere la sua quarta vittima e s'invaghisca d'un giovanotto, Herman, che della donna è l'ultimo amante e lui ha già pedinato ad Amsterdam.
Per goderselo usa Christine come esca, e tenta di sedurlo proprio nella cappella funebre in cui sono raccolte le ceneri dei tre mariti, ma le cose non vanno come sperava: Herman muore in un incidente stradale e Gerard, accusando Christine di stregoneria, dà fuori da matto. Mentre colei si accompagna a un nuovo venuto, il nostro crede di essere stato risparmiato dalla Madonna...
Il vero Gerard Reve si convertì anni fa al cattolicesimo.
Scrivendo "Il quarto uomo" deve essere andato a frugare nei propri più oscuri meandri.
Il racconto mescola infatti il tema della Vedova nera con quello della salvazione mistica e dell'attrazione omosessuale sullo sfondo del sarcasmo meritato dagli artisti, bugiardi con gli altri e con se stessi. Ne esce comunque un film insolito al quale vorremmo rimproverare la troppo scarsa evidenza satirica ma che ha una discreta forza visionaria. Senza essere mai stato un autore di grande personalità (però è quello che ha restituito fiducia al cinema olandese fin dagli anni Settanta), il regista Paul Verhoeven qui traduce il racconto in un thriller che ospitando molti elementi fantastici in una cornice di cronaca, accompagnandoli con la musica inquietante di Loek Dikker, rende ansiosa la platea, la quale infatti trova sollievo in qualche scoppio di ilarità. Il film manca di concentrazione stilistica, ma la qualità dell'immagine, soprattutto in certe scene surreali di ossessione e di sangue, ha buona presa spettacolare, e il sistema dei rimandi inconsci e figurativi su cui punta la trama ha uno sviluppo narrativo sufficiente a far cogliere i nessi fra mania religiosa erotismo, ambiguità sessuale e premonizione, e a dare all'insieme un segno tragicomico.
Se per la produzione, la sceneggiatura e la fotografia si è valso della équipe che in qualche caso lo ha portato al successo internazionale, Paul Verhoeven (da non confondersi con l'omonimo regista tedesco come il film non ha niente a che fare con Il quarto uomo diretto da Phil Karlson nel ’52) per l'interpretazione è ricorso ad attori di buon mestiere. Si è un pò in dubbio se a Renée Soutendijk non debba conferirsi l'Ordine della Patata benché si muova con grazia enigmatica, ma Jeroen Krabbé nel ruolo del mentecatto riverito dalla TV olandese e Thom Hoffman in quello del ragazzone che lo ingelosisce non sono mulini a vento.
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