Il replicante Sheen
di Maurizio Porro
Siamo alle solite. A Tucson, nell'Arizona, località da cowboy, la materia prima è la teppaglia. Ha le redini delle bravate un delinquente in stile punk che si chiama Packard e, fra le sue prodezze, ha fatto uccidere dalla sua banda con cresta il ragazzo di Sherilyn, per entrare al suo posto nel cuore della fanciulla. Sembrerebbe tutto a posto, quando in paese giunge, cavalcando in moto tra le dune, un certo Jake, cui vanno tutte dritte. Conquista Sherilyn, e uno alla volta porta a morte sicura i teppisti, sfidati nelle loro gare automobilistiche da una Turbo nera imbattibile come l'eroe mascherato. Non ci vuole molto a capire che Jake è il «replicante» del ragazzo ucciso a tradimento e che, sotto altre sembianze, compirà tutte le sue vendette e infine farà esplodere in corsa anche l'odioso Packard. Il tutto mentre il poliziotto di turno capisce sempre meno e mangia sempre più hamburger (Randy Quaid ne mima bene la psicologia), il fratello del risorto prima viene preso a cazzotti e poi fa le fusa e finalmente Sherilyn trova una situazione sentimentale stabile.
Siamo alle solite perché «Il replicante» (The wrath) è una storiella di gioventù bruciata banale, scritta e diretta in economia da Mike Marvin, che di certo avrà fatto esperienza in tv e, per la verità, non mette il naso oltre lo stile di un telefilm.
Girato come un western (i giovinastri al posto dei razziatori di bestiame e un replicante come cavaliere della valle solitaria), nei bei paesaggi stralunati dell’Arizona, il film ha una corsa affannosa nonostante vada con le sue automobili, e soprattutto con l'avveniristica "macchina nera” sempre oltre i centocinquanta all'ora.
Ma la dipendenza dai modelli di questo cinema di bravate è così pacchiana e la mediocrità espressiva così evidente che rimane un divertimento esiguo anche per i teenager sintonizzati sulla violenza e sul linguaggio del cinema a fumetti.
"Il replicante" porta il copyright del 1986 e mette in cartellone, grassottello ma simpatico, il Charlie Sheen così com'era prima di «Platoon» e «Wall Btreet», che misura la sua intensità a braccio su un personaggio positivo ma non trascinante, mentre si fa ben odiare, nel ruolo del malvagio, Nick Cassavetes, figlio del regista e di Gena Rowlands (nel cast c'è anche Griffin O'Neal, figlio di Ryan). Se i cromosomi non mentono, lo rivedremo presto. Magari alle prese anche con un personaggio e non con uno stereotipo come in questo sogno di una notte di mezzo fantasy in cui si consumano le ultime prodezze del cinema a trucco, con povertà anche di effetti speciali. La rompicuori è una piccoletta carina, Kari Johnson.
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