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Nel 2015 Reagan e Khomeini diventano un videogame


di Maurizio Porro


Come nelle offerte dei supermarket, anche Robert Zemeckis, il regista di Roger Rabbit, paga due e prende tre. Con la modica cifra di 80 milioni di dollari ha infatti girato nello stesso tempo - che, come il film insegna, è pura convenzione - il secondo e il terzo capitolo di Ritorno al futuro, forte dei 500 miliardi che il primo incassò nell'85. Meglio però non insistere con le date, perché il nuovo kolossal prodotto da Spielberg è già così spazio-temporalmente complicato che ci vorrebbe Bergson per orizzontarci.

Prima che entriate «fanciullini» in questo maniero di effetti speciali converrà avvertire che il n. 2, pur senza la genialità di partenza, è un viaggio piacevole, allegro, attento a rovistare nella sociologia spicciola e a tranquillizzare il gentile pubblico che, pur cambiando millennio, l'uomo resterà sempre lo stesso, ma con scarpe e giubbotto automatici.

La storia inizia in quel 26.10.1985 dove l'avevamo lasciata, con il giovanotto Marty McFly, che Michael J. Fox interpreta con la elastica leggerezza di uno sportivo che saltella sulla parte, tornato dal passato e subito di nuovo in partenza sulla De Lorean del folle inventore, verso il 2015, quando Reagan e Khomeini saranno un videogame, per tirar fuori i figli dai guai. Siamo nell'era dello «Squalo 19» e c'è un gran traffico nel cielo, nonostante le sopraelevate: il bravo ragazzo (impegnato, crepi l'avarizia, in tre ruoli; col trucco dello «split screen» che gli permette di apparire doppio), si mette nei pasticci per cambiar segno alla storia.

Segue uno slalom contro l'orologio, perché il nostro ingranata la marcia, ritorna al '55, all'inizio della reazione a catena che egli, rischiando l'Edipo, modifica in corsa. La volontà può cambiare la storia, ripete la lezione americana, ma in realtà gli eventi si ripetono e le colpe e le ingiurie dei padri (mai dire «pollastro» invano) ricadono sui figli. Nella piccola città al computer, dominata da schermi e spot giganti, Marty si scontrerà con Biff, il manigoldo più ricco d'America, diventato miliardario indovinando le gare sportive con un almanacco che gli viene dal futuro.

Ci sono in «Back to the future 2» momenti di gloria tecnologica che si risolvono in un inseguimento, uno in macchina e uno in skateboard, e scambi di persona, date e sentimenti, mentre Zemeckis ricopia con simpatia Zemeckis, nella sicurezza che il remake è l’anima del commercio di quella Hollywood che dovrebbe dire grazie al René Clair di «Accadde domani». Ma il clan Spielberg va diritto per la sua strada miliardaria, porgendo abilmente i quiz del puzzle spaziotemporale, garantito dall'estetica serializzata della Tv e dal grosso budget, dietro cui si intravede, ancora, protetto dall'inventiva, il rischio del manierismo. E nel finale Fox col fedele Christopher Lloyd, caduti nel 1890, ci danno il terzo appuntamento per il '90: sarà un ritorno al futuro del Far West.






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