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Con i 3 nello spazio c'è anche il robot


di Leonardo Autera


Alquanto singolare e imprevedibile questa favola spaziale messa in scena da un regista, Stanley Donen, che ha legato la propria fama ad alcune delle più belle commedie musicali di Hollywood (Un giorno a New York, Cantando sotto la pioggia, Sette spose per sette fratelli) e che anche di recante ci ha deliziato col divertito gioco nostalgico di Il boxeur e la ballerina. Comunque, benché non ci lasci molto convinti, quella di Saturn 3 non poteva essere che una fantascienza fuori dalle regole più acquisite.

Piuttosto che alla grandiosità spettacolare e all’effettistica del genere (tuttavia non del tutto assenti) questo film di produzione britannica, che lo sceneggiatore Martin Amis ha tratto da un racconto di John Barry, si affida a note quasi intimistiche col suo racconto a tre soli personaggi ai quali va però aggiunto un mostruoso e potentissimo robot. Adam e la bella Alex sono due scienziati da tempo distaccati nella stazione spaziale sotterranea di Saturn 3 col compito di portare avanti certe ricerche che dovrebbero risolvere il preoccupante problema della fame nel nostro consunto e sovrappopolato pianeta.

Mentre la coppia si divide fra un tranquillo lavoro e le vecchie e buone abitudini della Terra, interviene come elemento perturbatore un terrestre di nuovo conio, esagitato e nevrotico la sua parte, che simula la missione di accelerare le ricerche dei due scienziati, ma che però è mosso da differenti intenzioni e per l'occorrenza costruisce un robot perfetto che un po’ alla volta prende iniziative per proprio conto fino a rimpiazzare il suo stesso creatore e a terrorizzare, come il mostro di Alien, i nostri pacifici antieroi.

Se si può trarre una morale dalla favola, di cui non anticipiamo le conclusioni, essa può essere questa: l'avanzata delle tecnologie sulla Terra ha distrutto i rapporti umani e ha ridotto gli abitanti a semplici robot, per cui la vera saggezza può essere ricostruita e mantenuta soltanto lontano dalla sua nefasta influenza. Ma questo è più facile intuirlo che constatarlo da un racconto sbrigativamente sceneggiato e diretto senza molta convinzione da Donen, più a suo agio in alcune situazioni da commedia (come nel disegno dell'armonia della coppia, ultimo modello di una serenità andata dispersa) che nelle implicazioni fortemente drammatiche ai limiti dell'horror. Un po’ trasandate risultano anche le prestazioni di Kirk Douglas e della pur sempre avvenente Farrah Fawcett; meglio Harvey Keitel che sa mostrarsi disumanizzato da cima a fondo.






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