Un divertente dottor Jeckyll
di Maurizio Porro
Sotto il truffaldino titolo italiano di Scuola di sesso si nasconde una commedia demenzial-chirurgica che la Paramount produsse nell’82 per lanciare al di là del video americano la popolarità del comico Mark Blankfield, eroe del best seller «Friday Tv». La storia scelta del neo regista Jerry Belson - già conosciuto come scrittore di cinema versato in commedie - è vecchio quanto il mondo, o almeno quanto il famoso romanzo di Robert Louiìs Stevenson che ricorre nel titolo originale: Jekyll&Hyde … together again, di nuovo insieme.
Per dissacrare uno dei soggetti già più dissacrati si pensa così di fare di Jekyll un brillante e complessato chirurgo che studia una sostanza che dia carica psichica all'ammalato, ma che casualmente rimane egli stesso vittima della sua misteriosa polverina, che tanto assomiglia alla cocaina, così che, nottetempo, egli diventa uno scatenato e pittoresco stallone da orgia multipla, ed erezione non-stop, provvisto di una eccezionale forza fisica e ricoperto di pelurie varie, più o meno composte, quasi come Giannini truccato dalla Wertmüller.
Chiaro che questo io diviso gli dà dei problemi, soprattutto quando si risveglia al mattino, dopo le folli notti, ed è ancor peggio quando le trasformazioni lo assalgono magari nel bel mezzo di un'operazione importante (si tratta di donare tutti gli organi, nessuno escluso, a un miliardario che ha in mano le sorti dell'ospedale) o mentre ritira un premio scientifico per le ricerche a Londra.
Ed è anche chiaro che, se quando è normale, il nostro è un complessato che non osa toccare la sua bella fidanzata, figlia del principale, l'inconscio gli suggerisce poi, in notturna libertà, di lasciarsi andare a tutte le esperienze del sesso con una canterina di night. Ma essendo due personalità ce n'è per tutti; ed infatti è un lieto fine a tre.
Prodotto super demenziale, ma fatto in allegria, che tallona da vicino Le folli notti del dottor Jerryll di Jerry Lewis, ha più di un'occasione divertente: dalla corsa ad ostacoli al seguito del cavallo, alla impettita cerimonia finale o alla operazione del maxi trapianto, senza contare la variopinta fauna che popola, anche in America, gli ospedali (nulla da invidiare ai peggiori folklorismi nostrani) nel rispetto del Dio Dollaro. Peccato che la sceneggiatura abbia molte falle e che la regia non dia mai una regolata al racconto: peccato, perché sarebbe stata una commedia ospedaliera niente affatto male, con alcune idee brillanti.
Il protagonista, questo per noi ignoto Blankfield, non è il massimo della simpatia, ma tecnicamente è bravo, specie quando si trasforma a vista in un tipo probabilmente conosciuto dalla sociologia Usa, magari il portoricano - o l'italiano - dall'unghia del mignolo lunga, che razzisticamente equivale al nostro «terrone». Pieno di follie, tra cui molte raggruppate alla Helzapoppin’ nella sequenza conclusiva, dove tutti i nodi sessuali vengono al pettine, il film meriterebbe un altro titolo e forse un'altra uscita, pur nella sua confusione. Arguto e grottesco, anche per merito di due dolci sorrisi femminili, con riserva, esso mette alle strette il mito e l'efficienza della sanità americana. Con qualche libera uscita nel surreale per non spaventarci troppo.
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