Il brutto orco maestro di tolleranza
di Maurizio Porro
Forse Variety esagera quando dice che la favola a cartoni computerizzati Shrek, 150 milioni di dollari nelle prime tre settimane negli Usa, si rivolge a un'età compresa dai 4 ai 104 anni.
Di sicuro Katzenberg, ex disneyano ora produttore, ha voluto sfidare la Disney e la Pixar perfezionando la tecnica del software anatomico dei personaggi e allargando l'audience con citazioni, da Mel Brooks a La tigre e il dragone. Elargendo qualche peto, qualche rutto, qualche azione ecologicamente riprovevole (la principessa uccide gli uccellini per farsi due uova al tegamino), ma soprattutto ironizzando sulle fiabe cult, mirando e mimando l'amato-odiato Disney. Sono infatti i tre porcellini, Cenerentola, Peter Pan, Pinocchio, i sette nani, Robin Hood che tentano di occupare la casa del brutto orco verde, puzzolente e solitario, sfrattato finché non salverà la bella principessa Fiona da un drago un poco gay, abitante di un castello che sembra quello di Quarto potere.
Poi il ritorno nella foresta, col fido asinello impiccione, mentre sboccia l'amore tra l'Orco e la fanciulla che dovrebbe sposare lord Farquaad: ma il finale somiglia al Laureato e propone una lezione sempre utile di tolleranza tipicamente spielberghiana.
Irriverente sulla battuta, il piacevolissimo film di Andrew Adamson e Vicky Jenson, sceneggiato a otto abilissime mani e manovrato da 275 persone, tra cui i due italiani, Luca Prasso e Raffaella Filipponi, diventa però appassionante proprio quando si piega alle leggi delle fiabe su cui ironizza. Perché il rapporto tra la bella e la bestia è un classico, l'asinello è un tipico caratterista disneyano, il principe è un prepotente, e i paesaggi spaziano nell'immaginario campestre, utilizzando 28.186 alberi e 3 miliardi di foglie. Numeri: in 31 sequenze e 1.288 inquadrature, con 836 comandi sul sistema di animazione e 90 muscoli in azione digitale, Shrek, ispirato a un racconto di William Steig, è un cartoon-computer sofisticato nella fattura, ma semplice nelle emozioni, dal volto umano. Così umano, che molti si sono divertiti nel gioco del se fosse: nell'Orco hanno riconosciuto il profilone del potente capo della Miramax, Weinstein e in Farquaad hanno intravisto sia Berlusconi sia Eisner, manager Disney. Ma la morale è che, belli o brutti, disegnati a matita o mossi col computer, tutti si accettino.
Perché, come diceva Billy Wilder, nessuno è perfetto, ma molti, ahimé, credono di esserlo.
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