La guerra è bella e dura tre ore
di Lietta Tornabuoni
Il ritorno del re, addio sentimentale, film conclusivo della trilogia tratta dal regista neozelandese Peter Jackson dal "Signore degli Anelli" di J. R. R. Tolkien, è forse il più bello d'una saga-fenomeno unica. L'impresa cinematografica è cominciata nel 1997: due anni di lavorazione, centinaia di realizzatori e cineasti (incluso, nella parte di un cavaliere, Royd Tolkien, nipote trentaquattrenne dello scrittore) prigionieri della città neozelandese di Wellington. Una manna per l'economia del Paese: dal novembre 2002 al novembre 2003, oltre due milioni di turisti sono arrivati a seguire in Nuova Zelanda le tracce e il richiamo del "Signore degli Anelli", con una crescita del 3,5 per cento del flusso turistico; dal primo lancio, il film ha incassato localmente 3,8 milioni di dollari; gli analisti contano su 250 milioni di dollari nei prossimi dieci anni; amministratori e politici sperano di fare della Nuova Zelanda un set a cielo aperto (Edward Zwick vi ha filmato "L'ultimo samurai", Peter Jackson si prepara a girarvi anche il suo prossimo film, un rifacimento di "King Kong"). Attori oscuri come Elijah Wood interprete dell'hobbit Frodo o Viggo Mortensen interprete del re Aragorn, sono ascesi alla condizione di divi. Non è irragionevole aspettarsi alcuni Oscar. Il successo mondiale è già stato enorme.
Le ipotesi sulla grande passione degli spettatori internazionali, avanzate da esperti di psicologia di massa come da oracoli del marketing, sono naturalmente molte: il bisogno di magia e d'abbandono alla favola ("Il ritorno del re" è lungo oltre tre ore); il conforto, in un mondo angusto e delinquenziale, della fantasia sui vecchi valori virili e marziali, onore, dovere, disciplina, sacrificio, solidarietà fra combattenti; l'amore per la Natura selvaggia e intatta; la grande coreografia delle battaglie e la bellezza gloriosa dei costumi dei guerrieri, insomma la rivalutazione estetica di quella guerra che appare oggi come un massacro polveroso da parte di macchine sterili; il crescendo dell'avventura dei piccoli che sconfiggono i grandi.
Saranno tutte cose vere. La più convincente resta la più semplice: sono film che visualizzano un'opera seducente come poche, fatti magnificamente, avvolti da turbini mediatici, ideati per lasciar sognare.
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