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Le due torri, 179 minuti con il fiato sospeso


di Tullio Kezich


Sulle ventate, scintillanti vette della Nuova Zelanda si apre Le due torri, secondo tomo della trilogia Il signore degli anelli, così definita da Quirino Principe nella prefazione del volume edito da Bompiani: « ... Il momento che dà al "récit" un carattere particolarmente doloroso e faticoso ... mentre la liberazione e il riposo e la felicità che Frodo, Sam, Aragorn, Merry, Pipino, Gimli, Legolas si ripromettono (sotto la meditabonda ed enigmatica ala protettiva di Gandalf) sembrano lontanissimi, irraggiungibili e forse inesistenti».

Quanto invidio la sapienza con cui il saggista riesce ad addentrarsi nel leggendario territorio del mito creato da Tolkien (1892-1973). Nella mia povera testa già il citato elenco di personaggi crea una bella confusione, tanto che se tornassi a scuola e mi assegnassero il classico tema «Dite con le vostre parole il contenuto della saga del "Signore degli anelli" prenderei uno zero. Per mettermi al passo ho fatto del mio meglio, mi sono procurato libri come «Tolkien-The illustrated encyclopaedia» di David Ray (Simon & Schuster) e «I magici mondi del "Signore degli anelli"» di David Colbert (Fanucci) e li ho ampiamente consultati: inutile, nell'accavallarsi dei personaggi e delle situazioni continuo a perdere il filo di una vicenda che in realtà è semplice. Frodo, ingenuo "hobbit" misteriosamente chiamato al compito di salvare il mondo, scavalca mari e monti, sfidando ogni pericolo, per andare a intombare il famigerato anello negli anfratti del Monte Fato e cancellare per sempre il pericolo del Male che incombe sull'umanità. Ci >metterà qualcosa come 1200 pagine e (quando l'anno prossimo la trilogia cinematografica sarà completata) nove ore di film.

Insomma, tutto lo spazio e il tempo necessari per confondere le idee a un lettore o spettatore poco pratico dell'universo inventato da Tolkien nel tentativo di sopperire alla mancanza di una tradizione leggendaria nella letteratura e nel folklore britannici.

Strepitosa è stata comunque l'accoglienza riservata in Usa a questa seconda parte, in genere considerata dai cinecritici più attraente e riuscita della prima. Pur nei suoi lunghi 179 minuti, il film riesce a non stancare, creando incidenti avventurosi a rotta di collo, secondo una logica forse più salgariana che tolkeniana. Ormai divisi in tre gruppi, gli eroi della Compagnia dell’anello si alternano in primo piano sempre pronti a cadere dalla padella nella brace incontrando draghi, mostri, orchi, giganti, elefanti e altri parlanti e combattenti ereditati direttamente dal «Macbeth».

Tra scontri all'arma bianca e nugoli di frecce, orde scatenate e macchine da guerra che ricordano Ejzenstejn e Kurosawa, la battaglia finale è un brano possente che colloca il regista Peter Jackson fra i massimi strateghi di massa del cinema.

Opera di Alan Lee, illustratore originario di Tolkien in una perfetta coincidenza di fantasmagorie letterarie e grafiche, e dello scenografo Grant Mayor, l'immagine di Le due torri è abbondantemente nutrita di reperti dai grandi pittori di battaglie ai Preraffaelliti, ed evocatrice di suggestioni disparate. E se nella tonitruante partitura di Howard Shore le trombe e i tamburi non smettono un momento, rinforzati da cori ora angelici e ora infernali, gli interpreti si prodigano in stile teatro della fiaba tra urla e cachinni (in sottotono recitano solo le donne, che contano poco). Mentre Elijah Wood come Frodo resta un po’ nell'ombra e considerando che in quest'episodio il supercattivo Christopher Lee appare solo di sfuggita, emergono Ian McKellen, il bianco santone Gandalf, e il nano di John Rhys-Davies che viene dalla Royal Shakespeare company. Però il fenomeno più curioso è costituito dall'incrocio di recitazione dal vivo (Andy Serkis) e deformazioni da computer per creare il mostriciattolo schizofrenico Gollum che alterca con se stesso (qualcuno ha paragonato i suoi occhioni sbarrati a quelli di Peter Lorre).

Nell'ondata di consensi spicca il moderato dissenso del critico del «Chicago sun-times», Roger Evert, secondo il quale la trilogia di Tolkien in chiave da film d'azione rischia di somigliare troppo a Conan il barbaro e poco a un libro dove trionfa Frodo antieroe dell'umiltà.






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