Nulla di più eterogeneo dei modelli cinematografici cui guarda Spiriti nelle tenebre: il libro della giungla e Il ponte sul fiume Kwai, Predator e La foresta di smeraldo. Come a dire che la grossa produzione firmata da Stephen Hopkins (che peraltro un Predator, il secondo, l'ha anche diretto) mescola astutamente gusto dell'avventura e suggestioni esotiche, risvolti horror e preoccupazioni ecologiche. Alla base del film c'è un libro autobiografico che narra una storia vera: quella di un ingegnere irlandese (Kilmer) incaricato nel 1896 di costruire un ponte sulla ferrovia trans-africana che collega Mombasa al lago Vittoria. Impresa titanica, cui non sono estranei gli interessi inglesi nel redditizio mercato dell'avorio e nella quale vengono impiegati centinaia di indigeni trattati più o meno come schiavi, la quale si complica non poco con l'apparizione di due ferocissimi leoni, che cominciano e fare strage degli inermi operai. I due felini affamati di carne umana si rivelano inafferrabili, al punto che occorrerà chiedere l'intervento di un cacciatore americano di professione (Douglas). Rievocata dalla voce off di un nativo sopravvissuto e ambientato in paesaggi di maestosa bellezza (Spiriti nelle Tenebre è il primo film straniero girato in Sudafrica dopo la fine dell'apartheid), una storia dunque di caccia grossa, di amicizia virile, di coraggio e sfida del pericolo, con numerose emozionanti sequenze nel più puro stile adventure-movie.

Ma è chiaro quasi subito che i due eroi, fra loro diversissimi ma destinati ovviamente alla solidarietà, non hanno a che fare con due bestie qualsiasi, seppure invincibili, bensì, come suggerisce la superstizione degli indigeni, con delle creature quasi diaboliche, vere e proprie incarnazioni del Male. O non si tratta forse di ruggenti fantasmi della coscienza, quella occidentale naturalmente, troppo afflitta dai sensi di colpa per le frequenti violazioni della natura per non immaginarsi minacciata dai suoi implacabili emissari?

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