Triangolo da brivido
di Mariarosa Mancuso
Premio Morticia Addams a Mia Wasikowska.
Aveva fatto le prove in L'amore che resta di Gus Van Sant: le rimanevano tre mesi di vita, avrebbe lasciato agli eredi uno stupendo guardaroba vintage, si era trovata un fidanzato con la passione per i funerali di gente sconosciuta. In questo Stoker (primo film girato in inglese dal coreano Park Chan-wook) legge The Encyclopedia of Funerals, segnalando a mamma Nicole Kidman che le vedove nell'età vittoriana osservavano tre anni di lutto stretto (peggio sarebbe immolarsi sulla pira del consorte). Distribuzione permettendo, speriamo di rivederla presto in Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch: vampira e sorellina discola di Tilda Swinton.
Stoker come Bram Stoker, l'imitatissimo scrittore di Dracula. India, capelli lunghi sul viso pallidissimo da eroina di Edgar Allan Poe, conserva tutte le scarpe bicolori di varie misure calzate dalla culla fino ai 18 anni. Ha appena seppellito il padre, morto in un incidente stradale. Al funerale si presenta un giovane zio dai modi insinuanti.
L'attore Matthew Goode (era l'amante di Colin Firth in Un uomo solo di Tom Ford) ha qualcosa di Anthony Perkins in Psycho. Si chiama zio Charlie, come Joseph Cotten in L'ombra del dubbio, che Hitchcock girò nel 1943.
Vediamo uccelli impagliati, e una matita appuntita che ferisce come un coltello. Nicole Kidman - ancora un po’ in difficoltà per le dissennate punture di botulino che le hanno spianato la fronte e rimpolpato le labbra - fa la bionda gelida fuori e bollente dentro.
Alfred Hitchcock non è il primo regista che veniva in mente, quando abbiamo visto - e ammirato - la violentissima trilogia di Park Chan-wook sulla vendetta: Mr Vendetta, Lady Vendetta e Old Boy, con la scena del polpo mangiato vivo (dimentichiamo più facilmente gli umani torturati, e aspettiamo di ritrovarla nel remake di Spike Lee che uscirà a ottobre). Ma il coreano ha i suoi corto circuiti, e riesce a mettere insieme film come Thirst, ispirato a Teresa Raquin, il romanzo di Emile Zola che nell'Ottocento anticipò tutti i postini che suonano due volte. Son le trame in cui la moglie d'accordo con l'amante uccide il marito legittimo, ma il diabolico piano non porta la felicità. Zola complicò la trama con una paralitica – l’amante dell'ucciso – che tutto capiva ma non poteva denunciare il misfatto. Park Chan-wook ci aggiunse un prete cattolico e vampiro (il risultato non fu esaltante).
Non servono parole. Qui il sangue schizza sui fiori bianchi: una volta, un'altra, un'altra ancora. E di nuovo siamo lontani da Hitchcock, che girò Psycho in bianco e nero per non colpire allo stomaco gli spettatori: il suo bersaglio era la testa. Il coreano allo stile ci tiene: composizioni stupende, capelli che sfumano in nascondigli di caccia nell'erba, e - ascoltando un sinistro metronomo - capiamo quanto prezioso possa essere il lavoro del sound designer. Una sonatina scritta da Philip Glass fa da colonna sonora a un quasi pornografico duetto al pianoforte.
La raffinata direzione degli attori cerca il massimo dell'emozione con una recitazione minimalista. La sceneggiatura - firmata Wentworth Miller - non spreca parole. Sa raccontare la gelosia solo con gli sguardi, la devozione del seduttore e l'ostinazione della sedotta con un ombrello giallo appeso a una cancellata. Godiamo lo splendore formale delle singole scene, che però fanno l'effetto di quadri in un'esposizione: tutte le sfumature dal sublime al kitsch. La storia procede a singhiozzi, e il maestro Hitchcock avrebbe molto da obiettare.
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