di Maurizio Porro

A parte la delicatezza del tocco, il tenero humour british che sopravvive alla seconda guerra mondiale e la carineria così ancién régime, la seconda puntata di Tata Matilda e il grande botto andrebbe vista per un piccino che è la reincarnazione di Charles Laughton versione mini, tanto gli somiglia.

Infatti fa il piccolo dandy cinico e baro, uno dei due odiosi cuginetti londinesi giunti nella vecchia fattoria, mentre la zia coi suoi rampolli va diritta verso la catastrofe economica, sobillata dal cognato che vuole vendere tutto arrivando a farle credere che il marito è morto al fronte. Fortuna che dopo dieci minuti di problemi ex aequo casalinghi e universali bussa alla porta la Nanny Matilda la Tata che rinnova i fasti di Mary Poppins, con un uccellaccio che rutta in dolby stereo e una macchina che vola come in Citty Citty bang bang.

Missione umanitaria della Tata è di far fraternizzare i piccini, al petto ha molte medaglie di alto volontariato morale (ma una anche per come intreccia i vimini). Così sarà. I ragazzini, dopo un sano odio iniziale, andranno d'accordo e saranno loro a salvare la fattoria, prima ritrovando i rapiti maialini (gay?) che nuotano come Esther Williams sotto l'occhio di Busby Berkeley, poi ritardando la vendita con una missione in città per incontrare il baffuto Ralph Fiennes che al Ministero della Difesa è uno che conta. E naturalmente alla fine c'è per tutti la pena o il gaudio del contrappasso: il sordido cognato resta in manette in cucina, il babbo torna dal fronte e si trova due cuccioli di più in casa, mentre la Tata, finito il suo compito e quindi imbellita, se ne va rimpianta per le campagne seguendo il suo motto.

Emma Thompson, meravigliosa col dentone incisivo da coniglio, torna a impersonare il personaggio prodigio della raddrizza torti dei libri per ragazzi di Christianna Brand che già aveva portato al cinema nel 2005, con misura e divertimento non solo per minorenni. La favola è più educativa e meno mielosa di Tutti insieme appassionatamente e, in forma di démi musical è gradevole e spiritosa seguendo l'intuito femminile della regista Susanna White. Che ha scelto un cast di tutto rispetto con l'indifesa Maggie Gyllenhaal (si redime definitivamente dalle sporcacciate di Secretary) e la deliziosa Maggie Smith, una delle poche che, per potenza di self control, si può sedere su una bella macchia di popò di mucca, tipo opera pop della Biennale, e trovarla comoda.

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