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Dal futuro arriva un killer-macchina


di Giovanni Grazzini


La demenza dei governanti delle grandi potenze, i quali investono in ordigni di guerra quanto sottraggono alla speranza dei popoli, e poi s'incontrano a Ginevra per fingersi ragionevoli, è ormai tale da giustificare anche i più apocalittici scenari della fantascienza. Come quelli previsti dagli americani James Cameron e Gale Anne Hurd in Terminator, dove si suppone che nell'anno 2029, dopo un conflitto nucleare, la Dea cibernetica abbia mandato al potere i computers, i quali tiranneggiano i pochi uomini superstiti, inutili avanzi d'una civiltà che va con ogni mezzo estirpata. E tuttavia dura a morire.

Capitanati da un intrepido John, gli uomini sopravvissuti alle stragi affilano infatti le armi per resistenza. E sono così pericolosi che i despoti hanno un'idea brillante: di spedire nel 1984 un «cyborg» (versione futuristica del «killer») perché uccida colei, Sarah Connor, che avrebbe dovuto dare alla luce l'audacissimo John. La pensano insomma come i nostri Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere, dove i due matterelli vogliono impedire a Cristoforo Colombo di scoprire l'America. Ma i nuovi venuti fanno i conti senza l'oste Kyle Reese, un giovanottone del 2029, seguace di John, il quale innesta anch'egli la retromarcia e piomba nel 1984 per evitare che il «cyborg» compia la sua micidiale missione.

Nella Los Angeles di oggi la lotta fra i due venuti dal futuro è impari, perché il "terminator" ha uno scheletro d'acciaio rivestito di pelle umana, il che gli consente di sopravvivere a qualsiasi colpo (anche alla dinamite), e Reese ha soltanto la forza della disperazione. Ma dopo che l'ignara Sarah Connor ha più volte sudato freddo, e tuttavia ha avuto anche il tempo di concepire con Reese il messia, si conclude com'era nei voti della cultura umanistica e di ogni religione redentrice ...

Agli amanti del genere Terminator piacerà. Perché è il non plus ultra dell'orrore prossimo venturo, servito a ritmo forsennato ed effetti clamorosi da una fantasia che combina furbamente il macabro, il catastrofico, il sentimentale, e quel gioco mentale sulla compresenza dell'oggi e del domani al quale tanta parte della «Science-fiction» ama abbandonarsi per sposare il capriccio alla profezia.

Diretto da un regista d'origine canadese, il James Cameron che, con Roger Corman dietro le quinte, già raccolse le confidenze dei pesci «piraña», Terminator ha una messinscena rabbrividente, dominata dal gusto della minaccia e della salvezza venute da un altro mondo, ha frequenze d'un realismo allucinato, e fughe, inseguimenti, sparatorie con armi terrificanti, carneficine e roghi, che non lasciano il tempo di tirare il fiato. L'invenzione più «bella» è il suo protagonista, una macchina a forma d'uomo che all'occorrenza sa enuclearsi un occhio e medicarsi i muscoli d'acciaio, e contro la quale la polizia incredula fa la solita figuraccia. Poche volte come qui lo spettatore si identifica con la vittima protagonista, la povera Sarah che commessa in un ristorante si vede trasformata in preda del Superuomo, capace persino di imitare la voce della mamma, e finisce coll'incarnare un nuovo modello di madre-coraggio quando viene a sapere che Reese ha attraversato il tempo per lei (e per l'ambizione d'essere il padre del Salvatore).

Lasciando da parte la verosimiglianza - i miopi si chiedono come possa Reese essere vivo nel 2029 se nel 1984 ha sacrificato la vita per Sarah - il film va comunque consigliato a chi è di stomaco forte e d'immaginazione vivace. Il suo interprete, l'austriaco Arnold Schwarzenegger, un ex Conan con ben cinque titoli di Mr. Universo (un metro e quaranta di torace), ha un'imponenza fisica e mosse scortesi che rendono memorabile quel sinistro personaggio. Ma anche gli altri recitano con zelo: sia Michael Biehn che da buon risalto alla figura di Reese, sia Linda Hamilton che passa dal frivolo al tragico con una maschera persuasiva. Cinque canzoni, trucchi di Stan Winston, scenografia di George Costello, fotografia di Adam Greenberg, e gran tappeti di teschi…






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