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Nella furia devastante dei maxi robot un eccesso di effetti speciali senz'anima


di Paolo Mereghetti


Se Coraline è un film per ragazzi che può piacere molto anche agli adulti, Transformers - La vendetta del Caduto è un film per adolescenti che rischia di annoiare anche gli spettatori per cui è stato costruito. Niente a che vedere, nonostante la presenza della stessa squadra (regista, sceneggiatori, produttori, interpreti e responsabili degli effetti speciali), con il film di due anni fa, dove almeno la prima parte riusciva a mescolare fantasia e commedia, ironizzando sull'ingombrante presenza dei robot nella vita degli egli umani. Nella Vendetta del Caduto di ironia non ce n'è nemmeno l'ombra, gli scontri digitali tra robot sono stordenti quanto confusi (la necessità di non annoiare lo spettatore finisce per andare a detrimento della comprensione - chi combatte chi? chi sta con chi? - e soprattutto della leggibilità dell'immagine) e le ingenuità narrative superano davvero il livello di guardia.

La distruzione di Megatron nel precedente film (Transformers, 2007) non ha per niente archiviato lo scontro tra i buoni Autobots e i cattivi Decepticons, anzi il nuovo film inizia con i preoccupanti segnali di un risveglio nemico: il capo supremo dei Decepticons, il misterioso Caduto, a cui fa riferimento il sottotitolo (che per spaventare il più possibile il pubblico ricalca abbastanza platealmente le forme dell'Alien di Geiger), non ha ancora perso la speranza di trovare sulla Terra quella fonte di energia che sola può permettergli di «imprigionare» il sole e ridare forza alla sua progenie. Ma per farlo ha bisogno ancora una volta di Sam Witwicky (sempre interpretato da Shia LaBeouf): nel film precedente erano gli occhiali del trisavolo a nascondere l'indicazione di un cubo energetico, in questo è il suo cervello a contenere i misteriosi segni che possono rivelare la presenza di una nuova, potentissima fonte di energia.

Se ne accorgerà a sue spese appena arrivato nel college, dove vorrebbe vivere la vita normale di un normale studente e invece si accorge di essere diventato l'oggetto della spietata caccia dei Decepticon, a cui cercherà di sfuggire grazie all'aiuto della fidanzata Mikaela (Megan Fox), del compagno di stanza Leo (Ramon Rodriguez) e della sua Camaro-transformer Bumblebee.

A peggiorare ulteriormente le cose ci pensa un ostinato e improvvido dipendente del governo (John Benjamin Hickey) che vuole smantellare l'unità segreta formata da truppe scelte e transformers buoni, in nome di un «primato della politica» che nelle intenzioni degli sceneggiatori (quelli del primo film, Roberto Orci e Alex Kurtzman, a cui si è unito anche Ehren Kruger) dovrebbe forse essere una presa in giro del Potere - con tanto di nome di Barack Obama buttato li con non chalance - ma che assomiglia molto al peggior qualunquismo.

A questo punto ogni tipo di logica si perde nelle spire degli effetti speciali e digitali e il film diventa una sequela di scene a volte anche . spettacolari (la distruzione di un'autostrada in Cina, la letterale rottamazione di una portaerei americana con tutto quello che trasporta, affondata nell'oceano) ma decisamente ripetitive e per niente coinvolgenti. È il rischio - risaputo - dell'eccesso di effetti speciali senza una giustificazione forte a livello narrativo, peggiorata dall'inevitabile logica che sta alla base di ogni scontro tra «buoni» e «cattivi»: all'inizio sembra sempre che vincano i malvagi e alla fine, quando tutto sembra perso, trionfano immancabilmente i nostri. Qui, la sceneggiatura vorrebbe concedersi ogni tanto delle pause autoironiche. Ma ridursi a giocare con l'ostinazione dei due innamoratissimi protagonisti a non dire mai all'altro «ti amo» e a utilizzare la frase, finalmente detta da Mikaela, come mezzo più efficace di un defibrillatore per far tornare in vita il povero Sam, vuol dire superare ogni livello di guardia del buon senso comune. Per non parlare delle libertà geografiche che si accumulano nello scontro finale tra Decepticons e Resto-del-mondo (Autobots più esercito, aviazione e marina Usa): Petra, le piramidi di Giza e i tempi di Axum sembrano a pochi metri l'uno dall'altro, tutti pronti a finire in macerie sotto la furia devastante dei robot e delle armi con cui gli umani tentano di fermarli.

Con un piacere iconoclasta che rasenta il luddismo culturale: c'è infatti qualche cosa di perverso e, inquietante nel modo in cui i Simboli del Sapere e poi della Storia (prima la biblioteca del college poi le meraviglie dell'architettura antica) vengono sbriciolati e distrutti senza la minima ombra di rincrescimento da parte dei «buoni». Anzi, dimostrando lo stesso piacere infantile che può provare un bambino a rompere i castelli di sabbia degli altri. Ma in fondo che cosa ci si può aspettare da un film dove Megan Fox gioca continuamente tra provocazione sessuale, (anche scappando nel deserto la scollatura gioca sapientemente col ti-vedo-e-non-ti-vedo) e pudori verginali? That's Hollywood: un mondo di plastica e di effetti digitali dove domina solo la logica bamboccesca di un'ingenuità senza responsabilità.






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