Il remake più catastrofico
di Tullio Kezich
Scruto ansiosamente il cielo mattina e sera, ma non vedo arrivare nessun disco né globo volante. E dire che in questo momento, con la situazione universale gravida di minacce, ci sarebbe più che mai bisogno di Klaatu e del suo monito ai popoli del mondo: «Se non volete essere distrutti, imparate a vivere in pace». Chi è Klaatu?
È il messaggero dell'impero galattico apparso nel '51 in Ultimatum alla terra di Robert Wise e riproposto ora nel remake di Scott Derrickson. Là era impersonato da Michael Rennie, un attore nato in teatro a Londra; e qui abbiamo invece Keanu Reeves divo di Hollywood. La differenza fra i due, efficaci entrambi, è che l'americano deve fare la faccia mentre l'impassibile inglese ce l'aveva dalla nascita.
E chi è Harry Bates? Inutile cercare il suo nome sui titoli del film attuale, dai quali è stato accuratamente depennato. Eppure si tratta dell'autore di Farewell to the Master, un breve scritto che è bastato a collocarlo fra i maestri della fantascienza. Profeta inascoltato. Bates (1900-1981) pubblicò il suo racconto pacifista (origine dei film) alla vigilia di Pearl Harbor (7 dicembre 1941) che trascinò gli Usa in un sanguinoso conflitto contro metà del mondo. L'appello di Klaatu era andato a vuoto.
A rivederla in dvd, la pellicola di Wise non giustifica del tutto l'alone di culto che la circonda. Si tratta di un prodotto di serie B, abbastanza ingenuo e non privo di situazioni da commediola: come quando il Visitatore passa per un rivale del moroso di Patricia Neal. La messa in scena, sobria ed efficace nel suo rifarsi al futurismo espressionista di Fritz Lang, non riesce a mascherare la palese povertà di mezzi; e gli effetti sono ben lontani dall'allucinante verosimiglianza dell'odierno remake. Da Metropolis discende direttamente Gort, il robot invincibile pronto a distruggere il mondo se il suo padrone non provvede a bloccarlo con l'ingiunzione ai tempi divenuta proverbiale: "Klaatu barada nikto!". E sottolineo almeno la gustosa apparizione dell'amabile e stralunato Sam Jaffe, che suggerisce il modo giusto, possibilista, amichevole di accogliere Klaatu. Ma va soprattutto ricordato che il film lanciava il suo appello controcorrente nel cuore della guerra fredda e delle infami proscrizioni del maccartismo.
Più sfumata è la versione di Derrickson sul divagante copione riscritto da David Scarpa. Da buon gemello ricco del precedente, il nuovo film è gonfio di strepito e furore, perché il pubblico dopo aver visto e rivisto cento volte in tv le vere Twin Towers schiantate dagli aerei kamikaze dell'11 settembre, pretende che le immagini finte siano ancora più catastrofiche.
Per scatenare incendi e crolli stavolta Klaatu non si limita alla minaccia, ma fornisce un assaggio di come potrebbe essere la distruzione del mondo. Il tutto è partito da una bizzarria: un Keanu Reeves barbuto e ansimante che scalando in mezzo alla tempesta il Karakorum nel 1928 trova una via di fuga in un globo scintillante made in Galassia.
Facciamo un salto di 80 anni e assistiamo al sequestro di Jennifer Connelly, astrobiologa rinomata, da parte di agenti governativi incaricati di mobilitare un gruppo di scienziati per fronteggiare l'imminente arrivo di un vascello spaziale. Kathy Bates segretaria alla difesa sceglie di fare la faccia dura e commette uno sbaglio alla Bush.
E Gort, che qui vanta una stazza da King Kong, quando tentano di ficcarlo in un inceneritore reagisce alla grande. Per chi ama il genere, c'è da divertirsi; mentre nel film precedente c'era di che riflettere.
In proposito mi torna in mente una confessione che mi fece Eduardo: «Ho scritto La paura numero uno perché i governanti decidessero di mettere al bando la bomba, ma non è successo niente. Ne valeva la pena?». È la stessa cosa che deve aver pensato Harry Bates.
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