Cavalieri solitari della NASA
di Giovanni Grazzini
La provocazione è nel titolo italiano (alludendo alla buona stoffa dei protagonisti, l'originale suona The right stuff). È nel volerci far credere che siano di contro uomini falsi quanti non hanno né la capacita né la voglia di battere primati, di rischiare l’osso del collo e di passare alla storia come eroi. Lascia insomma perplessi, e irrita persino l'identificare ancora la virilità col gusto della sfida e il culto dell'audacia - un residuo delle civiltà primitive - ma per il resto il film ha un impatto spettacolare che sarà gradito a chi pone in su la cima non già il coraggio quotidiano ma il piacere dell'avventura temeraria e le conquiste oltrefrontiera. Poiché questi elementi caratterizzano il sogno americano, e ne connotano nel contempo il senso poetico e l'infantilismo mentre la vecchia Europa si lecca le ferite del suo adulto scetticismo, niente di meglio poteva d'altronde celebrarli che la rievocazione apoteotica delle imprese condotte dagli Stati Uniti per contendere all'URSS il controllo dello spazio: un'operazione di potere e di prestigio, dettata anche dalla necessita di conservare a lungo termine il benessere del paese vissuta dall’opinione pubblica come una prova d'orgoglio nazionale.
Per ripercorrere la ventina d'anni in cui l'America guardò sempre più in alto (fra il 1947 e il 1963. quando la NASA portò a termine il progetto Mercury), il regista e sceneggiatore Philip Kaufman si è dunque messo in sintonia con la maggioranza dei suoi connazionali, per i quali le virtù dei cow-boys si le sono pari pari trasferite negli astronauti. È andato, sulla scorta d'un libro di Tom Wolfe e dei cinegiornali dell'epoca, a ricostruire le tappe dell'assalto al cielo, anziché indugiare sugli aspetti tecnologici e politici ha puntato sugli uomini che ne furono protagonisti, per dirne le doti eccezionali in una sorta di reportage romanzato.
Poste tali premesse, e dato spazio al disegno dei caratteri, alla straordinarietà del paesaggio e al delirio delle folle, il film gli è riuscito quale appunto desiderava.
Anche perché contiene quegli spunti di critica ai poteri in cui l'America vede affermata la libertà dell'uomo della strada, ne è sortito un film di avventura su dei supermen ai quali tuttavia scappa la pipì in momenti cruciali, su dei sani campioni della dignità personale che si rifiutano di essere trattati come scimpanzè, e su dei bravi padri di famiglia ai quali tenere e ansiose mogliettine possono perdonare qualche scappatella.
Kaufman parte dal maggio 1963, quando Gordon Cooper compì ventidue orbite intorno alla Terra con quello che sarebbe stato l'ultimo volo solitario nello spazio dell'astronautica americana. A mezza strada fra il documentario affabulato e la leggenda, ci racconta con grande dispendio di mezzi (oltre cinquanta miliardi di lire) che cosa accadde fra quelle due date: i record di velocità e di altitudine battuti. l'imbarazzo dei governanti di fronte ai successi sovietici, la selezione dei cosmonauti compiuta tra i piloti più ambiziosi, le amichevoli rivalità tra i preferiti e le loro rivendicazioni durante l’addestramento, i fiaschi dolorosi prima dei voli di Shepard e Grisson e quello orbitale di Glenn che al rientro rischiò di bruciare vivo, le accoglienze esultanti, gli agguati del paparazzi, le speculazioni tentate da politici come Johnson. Poco che già non si sapesse o s'indovini, ma a conti fatti mettendo l'accento sulla figura di Yaeger: il che consente di accreditare la vittoria dell'équipe dalla NASA anche al fegato dei cavalieri solitari, eroi di un nuovo West ormai senza confini.
Benché scorciato nell'edizione italiana, Uomini veri è troppo lungo, contratto invece dove vorremmo maggiori informazioni - nemmeno una parola sul costo di quelle spedizioni - e qua e là incline all'aneddoto facile (si pensi soprattutto alle prove cliniche per saggiare la resistenza dei piloti, ai profili delle mogli).
Per la vivacità di certe scene, e per le emozioni che i voli possono procurare a chi se li gode dalla poltrona, attesta tuttavia le qualità professionali del regista, l'espressività degli interpreti - fra i quali si segnalano Sam Shepard (Yeager), Scott Glenn (Alan Shepard), Ed Harris (Glenn) - l'efficacia dei sosia di Johnson e Eisenhower, la bravura dei montatori e degli esperti di trucchi. Mentre ha qualche simpatico tocco ironico (Von Braun che canticchia «Lilì Marlene». .. ), tutte le scene che si fingono ambientate ai bordi dell'universo, o che riprendono lo sfrecciare dei caccia, hanno infatti una prestanza figurativa e un'enfasi - accentuata dalla musica di Bill Conti - che ben s'addicono all'epopea di un ventennio in cui come non mai l'amor di patria sembrò glorificare l'azzardo.
Siamo alle prese con quel cinema di stereotipi che vuol commuovere le masse esaltando la tradizione del sangue freddo, l'abnegazione delle donne e a retorica della “suspense”. Dunque nel cuore stesso di quel cinema americano che si fa saga e grande macchina d'effetti per appagare chi ha ancora bisogno di semidei. Se vi sembra di stringere poco è forse perché siete già in pantofole, perché il vostro modello è la tartaruga.
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