I mongoli sbarcano a New York
di Maurizio Porro
Ancora una volta un fumetto popolare alla radio e sui giornali "pulp" dell'America anni '30, quello dell’Uomo Ombra, prende la via fantastica, costosa e spettacolare del cinema con la regia di Russell Mulcahy, esperto di pubblicità, reazioni subliminali e già autore di due Highlander. Ancora una volta torna la grafia architettonica della New York elegantemente art déco di Batman, Dick Tracy, con i suoi club, i suoi taxi, le sue sopraelevate, le sue notti di peccato perenni e le sue bionde inguainate in raso e volpi bianche.
È un copione tutto già visto, pieno di trucchi, di cui il migliore è un pugnale semovente con l'impugnatura che sogghigna e morde. Eroe dell'avventura, altamente improbabile anche nella «inverosimiglianza» del fumetto, è l'Uomo Ombra, incarnato in un bel playboy di Manhattan dalla doppia vita, Lamont Cranston, che, al bisogno, si trasforma in uomo ombra truccato come Vincent Price per riparare i torti.
Deve lavorare a pieno servizio, nonostante la sua indole da miliardario ridens in smoking, quando l'ultimo discendente della stirpe di Gengis Khan giunge a New York in un sarcofago e con un piccolo esercito di adepti. Arrivano i mongoli, e vogliono mettere a ferro e fuoco la civiltà, minacciando di far scoppiare una bomba potentissima e sequestrando uno scienziato, la cui figlia amoreggia con l'Uomo Ombra.
Date le premesse, è facile intuire come andranno poi (stancamente) le cose: il cattivo minaccia il mondo e infligge al nostro eroe pericoli mortali, finché la giustizia avrà la meglio e i poteri medianici, di cui quasi tutti nel film sono dotati, permetteranno un ottimo happy end.
Magie, palazzi, arredi che si specchiano nel lusso, trucchi, pugnali nell'ombra, cineserie, anticaglie: raccontata così sembra un'avventura piacevole.
Ma il film, ispirato alle strisce e a un personaggio radiofonico cui diede voce anche Orson Welles, è invece modesto, ripetitivo, non emozionante, gonfio di trovate meccaniche. Subite così ancora una volta trovate della tecnologia, le scenografie di Joseph Nemec, le musiche altamente «melò» di Jerry Goldsmith, si resta con un «film ombra».
E se Penelope Ann Miller è spiritosa nel leggere nel pensiero e l'ex ultimo imperatore John Lone si regala un look un po’ ironico da guerriero che non passa inosservato, il protagonista Alec Baldwin sposato Basinger è una bella statuina che si limita a indossare bene gli abiti (è cliente dei Brooks Brother’s sulla Madison), a bere con eleganza i Martini cocktail, a sorridere sornione alle signore sbattendo gli occhi azzurri e magnificando le sue doti villose con una spudoratezza lecita solo nei fumetti.
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