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La fuga del settantenne scorbutico in un'inarrestabile altalena di trovate


di Paolo Mereghetti


Chi ha ancora il coraggio di scegliere come protagonista di un film un vecchio ultrasettantenne, che nelle prime scene mette subito in chiaro di essere vedovo, di non essersi per niente ripreso dalla dipartita della compagna di tutta una vita tanto che mette in mostra un carattere che definire scorbutico è poco?

Dopo Gran Torino di Eastwood all'appello sembra rispondere solo la Pixar e forse ci voleva proprio una casa di animazione (ancorché in digitale e adesso in 3D) per rompere ancora una volta le regole del box office e nonostante tutto scalare bellamente le classifiche degli incassi.

Perché Up, che racconta appunto le disavventure del 73enne Carl Fredricksen, dopo aver avuto l'onore di inaugurare l'ultima edizione del Festival di Cannes non ha tradito le aspettative economiche dei suoi produttori.

E ci vuole poco per prevedere un successo identico anche in Italia, dove esce oggi. Carl, che ha la faccia di uno Spencer Tracy iracondo e il carattere di un Walter Matthau al suo peggio (che poi è il suo meglio), vive solo e rancoroso in una casetta circondata da condomini giganti.

Un veloce ritorno indietro ce lo racconta come un bambino un po’ complessato che trova nella sognatrice Ellie l'anima gemella: insieme crescono nel mito di un intrepido esploratore, Charles F. Muntz, che gira il mondo in dirigibile e che diventa il loro idolo e il loro modello, anche quando la comunità scientifica mette in discussione la sua più recente scoperta, lo scheletro di un uccello alto quattro metri.

Da allora Muntz scompare ma per Carl ed Ellie resta l'eroe di tutti i loro sogni.

E adesso che Ellie è morta e Carl è assediato dalla speculazione edilizia, quei sogni di fuga e di avventura sembrano lontanissimi e anche un po’ ingannatori. Almeno fino al giorno in cui un boss del mattone sembra sul punto di sfrattare Carl verso un ospizio e impossessarsi della sua abitazione. È proprio allora che il nostro settantenne ritrova la forza dei sogni di gioventù e ricordandosi dei palloncini che ha venduto per tutta la vita trasforma la sua casa in una specie di artigianale mongolfiera e vola letteralmente via da un mondo che non lo vuole più.

Senza accorgersi che in questa fuga è involontariamente accompagnato da un boy scout piccolo e un po’ tonto, Ronnie, disperatamente alla ricerca di una buona azione per conquistare l'onorificenza che manca alla sua sciarpa.

A questo punto il film abbandona la sua componente più riflessiva e «sociale» per dispiegare le sue ali più fantasiose. Se l'idea di alzare in volo una casa grazie a qualche migliaio di palloncini assomiglia (per valore scientifico) alla trovata di Munchausen di sollevarsi tirandosi da solo per i capelli, il film da questo momento fa suo l'imperativo disneyano dell'irrealtà plausibile e fa comportare i suoi personaggi come se tutto fosse assolutamente e credibilmente realistico.

Moltiplicando ad ogni scena le occasioni di divertimento, perché dopo un avventuroso viaggio per cielo, la casa atterra in un posto misterioso e meraviglioso, Paradise Falls, dove la storia rimette a confronto il protagonista, sempre in compagnia del cicciottello Ronnie, con il mito della sua giovinezza, quel Charles F. Muntz che proprio a Paradise Falls sta dando da anni la caccia all'uccello alto quattro metri, per ritrovare quell'onore scientifico che gli era stato negato. Aiutato in questa caccia da una mandria di cani a cui uno speciale collare permette di trasformare latrati e abbai in parole umane. Dobbiamo aggiungere che proprio Ronnie saprà farsi amico del preziosissimo e rarissimo uccello?

E così un film che comincia come una specie di invito all'elaborazione del dolore e della solitudine diventa un'inarrestabile altalena di trovate, dove i miti dimostreranno di avere ben altre facce e i più maltrattati (c’è anche un cane sovrappeso e imbranato) si riscatteranno. Dimenticando pian piano di trovarci davanti a un film d'animazione e finendo trascinati dentro la più bella delle avventure, quella capace di dare concretezza ai sogni e di ritrovare l'entusiasmo della gioventù. Non è la prima volta che succede in un film Pixar, ma qui tocca delle vette di perfezione (e di fascinazione) finora inedite, soprattutto perché riesce a farci dimenticare di essere in un cartoon per farci entrare in sintonia con la parte più palpitante del nostro cuore.






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