L'assassino di De Palma deve aver visto
di Leonardo Autera
Vestito per uccidere (Dressed to Kill), il più recente thriller di Brian De Palma, riscosse l'estate scorsa, all’uscita in America, un successo clamoroso in un alone di scandalo. La maniera umiliante in cui la donna vi veniva rappresentata dal regista (unico responsabile anche del soggetto e della sceneggiatura) provocò una levata di scudi delle leghe femministe e certe scene di nudo e di erotismo, forse troppo spinte per un film di normale circuito, destarono qualche reazione. Allora si parlò diffusamente del fenomeno (a conti fatti di modeste proporzioni) ma ora preme il giudizio su un'opera che più che mai ci aiuta a chiarire virtù e vizi di De Palma.
Protagonista, per un terzo del film, è una donna di mezza età, Kate, sposata e sessualmente insoddisfatta. Crede di non piacere più agli uomini (dubbio ingiustificato trattandosi della splendida Angie Dickinson) tanto da chiedere al suo psichiatra, Elliott, se farebbe l'amore con lei. Poiché costui non accetta (dice di amare soltanto la moglie), va in un museo dove tenta in tutti i modi di farsi abbordare da uno sconosciuto. Finalmente ci riesce e si lascia violentare in un taxi per poi proseguire l'amplesso in un motel. Ma eccola punita del suo peccato: rivestitasi per tornare a casa e lasciato un biglietto allo sconosciuto con la scritta "Grazie per questo pomeriggio", scopre un certificato medico che attesta che l'uomo è affetto da sifilide. Poi, in ascensore, la donna viene barbaramente assassinata con un rasoio da un individuo travestito con abiti femminili.
Subito dopo una giovane prostituta d’alto bordo (interpretata da Nancy Allen, moglie di De Palma) scopre il cadavere; ma avendo raccolto, senza pensarci, il rasoio insanguinato, rimane seriamente incriminata, tanto che proprio lei, con l'aiuto del figlio dell’uccisa, dovrà adoperarsi per smascherare il vero maniaco omicida. Non diremo di più, anche se il criminale è proprio quello che gli spettatori hanno già sospettato da un pezzo.
Fatto sta che Vestito per uccidere non è tanto un "giallo" quanto un "thriller" su quella linea di Hitchcock che De Palma, imitatore per eccellenza, aveva già ricalcato in altre occasioni. Ma se film come Le due sorelle e Complesso dì colpa potevano passare per riverenti omaggi al maestro, qui le tinte, pur chiaramente mutuate da Psyco (si vedano le due sequenze oniriche sotto la doccia che aprono e chiudono il film), si gonfiano con esasperata truculenza. Benché De Palma abbia attinto anche da La donna che visse due volte, la trama rimane alquanto grossolana, con le sue pretese psicologiche sbrigativamente risolte e con i suoi discorsi sulla transessualità.
Detto questo, non si può sottovalutare il virtuosismo del regista, spesso di natura squisitamente fotografica (uso del flou, della profondità di campo, dell’immagine doppia), ma fatto anche di sapiente costruzione narrativa, che rivaluta, tra l'altro, la funzione del dettaglio. In tal senso ci è apparsa particolarmente esemplare la sequenza del museo, che riesce a trasmettere pienamente, con suggerimenti plastici, lo stato d'animo e di tensione nevrotica della protagonista.
Merito, anche, dell'eccellente interpretazione, tanto intensa quanto sfumata, di Angie Dickinson, di fronte alla quale Michael Caine (lo psichiatra) si rivela imprevedibilmente scialbo. Corrette le prestazioni di Nancy Allen e Keith Gordon, ed efficaci, benché eccessivamente invadenti, le musiche del nostro Pino Donaggio.
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