Horror sul teleschermo con torture "in diretta"
di Maurizio Porro
David Cronenberg, piccolo grande maestro canadese dell'horror, racconta, nel suo cinema, le mutazioni della carne, gli effetti mostruosi di parassiti che vogliono convivere con noi ("Il demone sotto la pelle"), di poteri telecinetici e di orrende preveggenze ("La zona morta"), di teste e cervelli che scoppiano e si disintegrano ("Scanners") sempre secondo la logica emozionale dell'eccesso.
Insomma, a volte con misura e maestria, a volte con sanguinolente esagerazioni, è un regista che ci parla degli stati d'allucinazione nostri contemporanei, spingendo la logica del terrore e del grottesco più follemente a fondo di De Palma, Carpenter, Argento e Tobe Hooper.
La televisione, come strumento principe delle nostre mutazioni caratteriali e quasi genetiche (noi siamo quello che vediamo, e quindi noi siamo il messaggio), non poteva non entrare nella sua stanza e fiera degli orrori: ed eccola, infatti, protagonista di questo trasgressivo e qualche volta geniale Videodrome girato nel 1982, in ritardo sui nostri schermi, specie se si considera che l'autore pensava da una dozzina d'anni a questo inusitato soggetto.
Max dirige a Toronto una tv privata di dubbio gusto per un pubblico di dubbio gusto. Un giorno, per caso, capta i segnali di una stazione, Videodrome appunto, che trasmette in diretta torture e altri "spot" sado-masochisti. Forse la trasmissione viene dalla Malesia, forse da Pittsburgh. E invece la stazione si nasconde proprio lì, in un vascello fantasma nel porto di Toronto. Gestito da una criminale organizzazione di destra, che ha scopi più illeciti e pericolosi di quelli del varietà, per maniaci, Videodrome ha la particolarità di provocare, in chi guarda le sue emissioni, strani fenomeni autodistruttivi: Max viene risucchiato dal teleschermo e trasformato in un assassino biomeccanico, e la sua donna non si dà pace finché non penetra nella stazione. Accade perfino che i sadici gli infilino cassette nello stomaco, aprendolo con la tecnica dei guaritori filippini, senza anestesia, tutto con le mani; e il finale non potrà che essere tragico e allarmante per il nostro medioevo prossimo venturo, organizzato dal quinto potere del video.
L'idea è eccitante, coinvolgente, cinematograficamente valida: certo, poi Cronenberg ci dà dentro fin troppo, non si nega alcun effetto speciale (Rick Baker, cui si devono i trucchi, è davvero un maestro), e nel frattempo il messaggio si fa sempre più ossessivo e confuso, si perdono i contatti con la ragione e si entra nella sfera del potere paranormale.
Tutto si crea, e tutto si distrugge: ma Videodrome, nonostante gli eccessi, e forse proprio per questi, è un film da vedere, anche con una smorfia di disgusto, perché l'idea che lo sorregge, quella dell'immagine finta che di noi stessi riproduce il video, vero micidiale creatore di una nuova realtà, è tra quelle di cui il cinema dovrebbe discutere. Cronenberg porta alle estreme conseguenze la crudeltà di un linguaggio espressivo che rinuncia alla logica e alla psicologia magari incrociando un allarmante misticismo.
Insomma, Videodrome è anche una grande confusione, ma di quelle attive, che manipolano la nostra sensibilità mettendoci in guardia contro le manipolazioni di altri. Sulla lunghezza d'onda del regista, James Woods è bravissimo e misurato nel cacciarsi le cassette nella pancia: è la vera vittima di una aggressione cui concorrono tutti i «media», i falsi miti, le illusioni dell'epoca.
È un anello delle mostruosità col copyright Cronenberg, la pubblicità di una deformazione che, sotto la pelle, attacca i nostri centri vitali e critici e li mette k.o.. Verrebbe voglia di dire: andate a vederlo, poi ne discutiamo.
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