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Al guerriero medioevale non piace il cellulare


di Lietta Tornabuoni


Un guerriero aristocratico medievale e il suo scudiero abbandonano di colpo l'anno 1123 e irrompono nel 1992 dopo aver bevuto un filtro del Tempo preparato da un arcimago. Davanti allo spettacolo terrificante del progresso e della tecnologia si spaventano; il nobile non desidera che tornare al proprio secolo e ci torna, mentre lo scudiero sceglie di restare nel Novecento dove (almeno in apparenza) non ci sono servi e il popolo ha qualche diritto.

Commedia esilarante, un po’ ecologica e un po’ romantica, "I visitatori" è un film-fenomeno francese: con 14 milioni di spettatori ha battuto ogni record degli ultimi dieci anni, s'è anche guadagnato sei pagine dei "Cahiers du Cinéma", ha vinto diversi premi, ha provocato discussioni, analisi, ipotesi: questo successo è la spia della immensa fame di ridere che distingue i periodi di crisi e di paura; il film è piaciuto tanto perché irride la nostra civiltà che s'accanisce a costruire un mondo brutto e stupido in cui sono al primo posto i soldi, i vanesi, i parvenus, l'impostura; gli spettatori l'hanno amato perché parla dell'identità francese perenne, immutabile. Eccetera.

"I visitatori" (Les visiteurs) è scritto dal regista e da uno dei protagonisti, il comico Christian Clavier (doppiato da Leo Gullotta); è dialogato in un francese arcaico ben adattato da Sergio Jacquier per la versione italiana; è diretto da Jean-Marie Poiré, 49 anni, parigino, figlio d'un produttore cinematografico, ex rocker nel gruppo Les Frenchies, già autore di nove film-commedia perlopiù mai visti in Italia; è costato sessanta milioni di franchi e impiega tutte le tecnologie aggiornate (morphing, matte-painting); è interpretato pure, nella parte dell'aristocratico, da Jean Reno (doppiato da Gigi Proietti), l'attore grande, grosso e fiero che recitava una sorta di Enzo Maiorca ne "Le grand bleu" di Luc Besson, e da una bravissima Valerie Lemercier (doppiata da Patrizia Castagnoli) nella parte della nobile discendente del guerriero. Saga di quell'anacronismo così spesso fonte di comicità (i Monthy Python, Mel Brooks, Troisi-Benigni in "Non ci resta che piangere"), epopea del conflitto tra il Medioevo e la modernità dei fax e dei cellulari, è piuttosto reazionario, assai consonante alla riflessione revisionista sul progresso, alquanto snob, nella sua volgarità: ed è molto divertente.

Piombati nel Novecento, il guerriero e lo scudiero non riescono a respirare l'aria inquinata, non riconoscono il paesaggio ("Dove sono finite la Natura e le foreste?"), s'impauriscono vedendo un postino africano ("Il saracino! Il saracino!"), vomitano appena saliti in automobile, contemplano sbalorditi gli aerei, il barbecue o il water closet dove subito provano a lavarsi le mani. Lo scudiero s'adatta rapidamente a un mondo per lui migliore, imparando a gridare "occhèì" con entusiasmo. L'aristocratico scopre con orrore che il suo castello è stato venduto, restaurato e trasformato in lussuoso albergo antichista; che i plebei possono diventare ricchi; che i servi sembrano spariti; che la sua discendente, moglie d'un brillante dentista e padrona d'una bella villetta, «ha sposato un cavadenti e vive in un tugurio». Di fronte agli uomini medievali, borghesi e piccoloborghesi sono scandalizzati. La discendente, da aristocratica, sente invece il richiamo del sangue, è aperta all'avventura, è romantica, è senza principi etici e senza pregiudizi, sa accogliere l'incredibile con il pragmatismo fattivo e con l'impassibilità cortese della sapienza mondana: Valerie Lemercier, tra comicità e critica di costume, ne fa un personaggio perfetto.






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