Fa acqua a Venezia l'Apocalisse di Costner
di Maurizio Porro
Ecco finalmente, alle «Notti veneziane», il più chiacchierato cine-marchingegno dell'anno, l'enfatico, reumatico «Waterworld», il più dispendioso gioco d'acqua della storia: secondo «Variety», 1,3 milioni di dollari al minuto, per 135'. Nell'epocale spettacolone sito nel 2500, l'amico regista poi ripudiato Kevin Reynolds spiega che, rotte le calotte polari, la Terra verrà sommersa dalle acque: il medioevo post Mururoa.
L'eroe è il misantropo e mal rasato Costner, mezzo palmipede che l'avversario Dennis Hopper - diacono pelato con un occhio solo, gran fumatore di sigarette col filtro (Smokers è la sua setta) - chiama sgorbio ittico, scherzo dell'evoluzione, diavolo ittiologico. La posta in gioco è Dryland, terra promessa e forse leggendaria, la cui mappa è tatuata sulla schiena di una bambina che viaggia con la pseudo mamma nella barca del rude Kevin, dalla monoespressione accigliata di chi pensa alle clausole del contratto da 14 milioni di dollari.
Il kolossal si apre e si chiude con due truculente battaglie piratesche: la prima sull'atollo dei sopravvissuti, la seconda sul residuo di una petroliera. Ma con la partecipazione d'una mongolfiera salvatrice, che condurrà i meritevoli verso una verde e ridente terra (la Svizzera?).
Momenti divertenti: la barca di Kevin che prende al lazo un velivolo; l'eroe legato che si butta all'alto per salvare la bambina impicciona (la mini star Tina Majorino); l'arrivo degli smokers su motocicli d'acqua a raggio, tipo Esther Williarns; lo squalo che si mangia Kevin e dopo un attimo viene servito cotto alla brace.
Momenti fantaeconomici: tornato il baratto, sono ricercati i pomodori, la resina, la terra.
Momenti romantici: Costner porta Jeanne Tripplehorn a fare un tour subacqueo respirando lui per lei.
Momenti scemi: Hopper che arringa la folla col cappello da Napoleone, brandendo una bottiglia di Jack Daniel's invecchiata da 500 anni.
Dimenticanze, oltre al soggetto: l'angoscia e la solitudine oceanica, la poesia dell'avvenire, una qualunque scintilla della ragione, una storia.
Genere baracconata, si un'americanata divertente nella prima mezz'ora, poi sempre meno. Di tutto, di più, di troppo. Soprattutto l'assordante musica, più che altro rumore, di James Newton Howard, che perseguita il film in continuazione, vera aguzzina. Sorvoliamo sul budget, Spielberg dice che allo spettatore importa solo quanto costa il biglietto. Ma è proprio il racconto che fa acqua, manca di interesse, la psicologia è sotto il livello del fumetto, non c'è intermittenza del cuore e ogni inquadratura è replicata decine di volte. Scoppia tutto, l'Apocalisse è lì in dolby stereo, il mondo è sommerso, ma in realtà non succede nulla.
Dobbiamo, se mai, qualche scusa al vero regista, lo scenografo Dennis Gassner, che ha i suoi meriti nel visualizzare una fangosa fine del mondo, con momenti visionari, una Luna da fiaba e alcuni controluce strehleriani. Ma, colpa dei cambiamenti effettuati fino all'ultimo e dei capricci incrociati, "Waterworld" ha salti di racconto notevoli, manca del necessario diaframma dell'ironia e del più elementare impasto narrativo: è l'espressione compiuta del nulla del cinema tecnologico.
In quanto a Costner, mutante con codino, branchie e occhiaie, che come prima cosa beve la propri pipì depurata, più eroe di così, stia sicuro, non potrebbe essere, a meno che non voglia diventare santo con un effetto speciale.
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