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Una saga di prodigi


di Giovanni Grazzini


Nonni, mamme e nipotini, ecco un film per voi, se vi piacciono le favole un po’ macabre e un po’ sorridenti, le odissee oltre il tempo e lo spazio in cui si mescolano i ricordi di infinite leggende, di eventi storici e di celebri luoghi del cinema.

Intitolato al nome del suo protagonista, prodotto da George Lucas (che ne ha anche scritto il soggetto, tordo così autore di copioni dopo l'«Arca perduta») e diretto da Ron Howard al quale si è già debitori di «Splash», di «Cocoon» e di «Gung Ho», questo «Willow» è infatti un'elaboratissima antologia di personaggi e situazioni consacrati dal mito dell'avventura, posti dalla fantasia là dove regna l'Impossibile e tuttavia continua implacabile la lotta fra il Male e il Bene.

Poiché un oracolo ha annunciato la nascita di una bambina che farà cessare il terrore, la perfida regina Bavmorda, modellata sulla strega di Biancaneve, ordina la Strage degli Innocenti. Ne scampa la piccola Elora, che salvata dalle acque come Mosè viene amorevolmente custodita dal nano Willow Ufgood, uscito da una tribù di contadini e minatori (l'attore è Warwick Davis, già visto fra l'altro nel "Ritorno dello Jedi"), fin quando il mago del villaggio lo incarica di consegnarla al popolo dei Daikinis dal quale la bimba è uscita.

L'impresa riserva moltissime sorprese e altrettanti tuffi al cuore, perché i guerrieri di Bavmorda, guidati da un generale che ha un elmo a forma di teschio, sono di spaventosa ferocia, i Cani della Morte sono nei paraggi, un uccellaccio rapisce la piccina, compare un drago a due teste che vomita fiamme, la regina - nuova Circe – trasforma in porci i nemici, e Sorsha, la principessa ereditaria, è un'amazzone crudele che soltanto l'amore addolcirà.

Come non era da dubitare, la profezia ad ogni buon conti si compie. A dare una mano a Willow sono infatti intervenuti un temerario spadaccino, il popolo dei minuscoli Brownies, la fata Cherlindrea e la maga Fin Raziel, che trasformata in topo da un maleficio di Bavmorda ha riacquistato fattezze umane soltanto nel finale, quando ha sostenuto l'ultimo duello con la regina (fulmini e cazzotti), grazie a Dio folgorata tra lingue di fuoco. Per cui, assolta la missione, l'ottimo Willow potrà tornare ad abbracciare la sua famigliola, e in premio avrà il titolo di Gran Mago.

All'ultimo Festival di Cannes il film subì qualche insolenza, ma senza meritarla.

Benché qualche sforbiciata gli gioverebbe, a noi infatti piace proprio perché ricicla Disney, la Bibbia, «Guerre stellari», Gulliver e i samurai, le sberle da saloon e i cocchi di «Ben Hur», Stanlio e Ollio, Tolkien, Herzog e Omero, l’horror e il buffo in una saga dì prodigi, in lode della famiglia, dell'amore per i bambini, della fede in se stessi, che Lucas e Ron Howard governano da maestri dell'enfasi audiovisiva. Con l'humour derivante da una bacchetta magica a forma di stecco storto e da certi portenti falliti (ma è la «polvere d'oro dei cuori spezzati» a mutare Sorsha ... ), con splendidi paesaggi trovati nel Galles e Nuova Zelanda, con una messinscena medievaleggiante che trabocca di effetti speciali e un ritmo rapinoso nel fitto di foreste incantate, fra lugubri castelli e giù da picchi innevati.

L'idea più amena del film è il ricorso, valendosi in parte di lillipuziani e in parte di trucchi, a personaggi umani di tre diverse stature. Il supporto più clamoroso è costituito dalla musica fracassona del collaudato James Horner. E il tenerume è garantito dal musino della neonata Elora, che con debite smorfie e sorrisi partecipa a questo nuovo gaudio fanciullesco mentre fra gli adulti si segnalano Van Kilmer (Madmartigan), Joanne Whalley (Sorsha), Patricia Hayes (la maga Fin Raziel), e, nella parte della regina infame, la Jean Marsh che venticinque anni fa era Ottavia in un altro colosso: la "Cleopatra" di Mankiewicz.






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