Ecco il virus di X Files
di Maurizio Porro
È paranormale non solo il soggetto, ma anche il successo della serie che dà il titolo al film, X Files, di Chris Carter, il potente produttore e sceneggiatore, e del suo complice regista Rob Bowman, che ha a suo carico già 25 episodi con i due agenti dell'Fbi, Cully (Gillian Anderson) e Mulder (David Duchovny). Inchinatisi al mito formato tinello, resta un film con un soggetto da 007, a volte di impatto spettacolare ma senza un giusto ritmo, pieno di primi piani ad uso casalingo. Ma lo apprezzeranno gli iniziati, gli «amici» dei due protagonisti, che qui, rimossi dalla sezione X files, sfiorano la love story; bisogna conoscere gli altri comprimari tipici (l'uomo in blu, l'uomo che fuma), anche se in questa storia che, presa alla larga, inizia 35.000 anni avanti Cristo, il peso specifico è del dr. Kurtzweil (Martin Landau), che spiffera al nostro cosa si cela dietro un attentato.
Come nell'horror di tradizione, l'«oltre» è un virus letale che si fa strada con i complici curiosi di un possibile trionfo «alieno» sull'umanità in pericolo di mutazione genetica, evitata per l'eroismo degli anonimi detective. Ma l'avventura fatica a insinuarsi nell'immaginario cinematografico, arranca sui tempi dell'azione nonostante il budget Fox (70 milioni di dollari), il cui plusvalore tv, dal 10 settembre '93 a oggi, la mette al riparo da rischi.
Ma il film rimane una glossa della serie, un omaggio; con l'occhio rivolto all'audience specifica, mentre Mulder mette in guardia contro il mondo delle apparenze, prima di orinare sul manifesto di Indipendence day.
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