Cercasi suspance
di Maurizio Porro
Joe D’Amato, alias Aristide Massaccesi (col suo vero nome firma qui la non prestigiosa direzione della fotografia) non dovrebbe lasciare mai la retta via del cinema a luci rosse in cui è specialista, sia nella tipologia hard, sia in quei titoli soft, quasi sempre continuazioni di film di Tinto Brass, spesso in flash back agli anni del regime, sempre in case più o meno ufficialmente di piacere, con menù ricco di melodrammi e di passioni, come le foglie porno al vento.
Quando, appunto, sceglie di fare altrimenti, come in questo demenziale - l'aggettivo non è sempre indice di virtù - horror intitolato In quella casa (Buio Omega), la sua professionalità fallisce clamorosamente sotto il peso di una totale mancanza di sceneggiatura, priva delle più elementari regole della suspense, incapace di filtrare, attraverso lo schermo, anche le emozioni più violente.
Qui poi, per mettersi alla pari con il maestro Dario Argento, che è stato il primo a fare un uso diverso della colonna sonora, D’Amato si fa aiutare dai Goblin, con risultati musicali di esasperante noia, lasciando in mano a un ripetitivo refrain mezzo film in cui non accade proprio nulla.
La storiella, in breve, è quella del solito nevropatico, cresciuto senza papà e mamma. Istigato da una perfida governante, Iris, che nutre verso di lui insani propositi matrimoniali, Francesco, facendo l'imbalsamatore di animali per hobby, a un certo punto pensa di dedicare questa sua abilità manuale anche verso il gentil sesso.
La prima fortunata è la sua fidanzata che, morta per cause naturali - sarà la prima e l'unica - viene trafugata e, appunto imbalsamata.
Il gioco continua con altre povere malcapitate, il tutto in un châlet tirolese post-svizzero moderno e, mentre il ragazzo uccìde, soffrendo e pensando alla sua Giulietta defunta di cui arriverà poi la sorella quasi sosia, la Iris sbriga le faccende di casa, anche le più modeste, come tagliare a pezzi i cadaveri, farne una bella pasta schiumosa e sotterrare tutto, a caldo, in giardino. Ma c’è uno sconosciuto che, insospettito, indaga nell'ombra, non pronuncia parola e interviene al momento giusto dopo che l'ecatombe finale ha in parte ristabilito la dimensione della morale e della giustizia.
Privo di educazione thriller, il film si fa notare per la noia con cui accumula una situazione sempre uguale a se stessa, e per l'inadeguatezza degli interpreti tra cui un protagonista che non sfigurerebbe affatto in un hard core. La ripetizione dei modelli non mette le ali a un sottoprodotto sanguinolento in cui una certa categoria di voyeurs potrà ammirare nudità già in rigor mortis. È tutto così in confusione, e spesso così ridicolo, che non si ha neanche voglia se non c'è l'obbligo, di vedere come andrà a finire. Del tutto assente anche quella certa eleganza patinata e fotoromanzesca che ci rendeva simpatico D'Amato proprio nelle sue scappatelle presso un altro pubblico. Dati per dispersi quindi il ritmo e la suspense, non resta che attendere l'inevitabile grido finale della morta vivente, che promette di diventare una zombie con tutte le carte in regola.
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