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Arriva Blade runner 2


di Maurizio Porro


La notizia è ghiotta: Harrison Ford tornerà nei panni di Rick Deckhard, il cacciatore di androidi, nel sequel del film culto malinconico ed amatissimo di Ridley Scott, Blade Runner. Sarà diretto da Denis Villeneuve, prodotto dalla Alcon in collaborazione con lo stesso Scott, sceneggiatore con Michael Green e Hampton Fancher (quest'ultimo già nel primo script) per un seguito che promettono «potente e fedele a uno dei titoli più celebrati».

In effetti per molti, con Blade Runner inizia la storia del cinema. A Hollywood tutti sono onorati che il 72enne Ford, pilota e agricoltore, abbia accettato il bis dopo 10 mesi di trattative con l'idea che questo nuovo sia «uno dei migliori copioni che abbia mai letto». Nel1'82 il ruolo di Decker se lo disputarono James Caan e Dustin Hoffmann ma vinse il romanticismo action del novello Indiana Jones. Basta non arrendersi: Harrison lo si vedrà anche nel nuovo Star Wars ed è stato tra i matusa di Mercenari 3. Ciò che molti temono ed altri ex aequo sperano (un sequel da un film così è un rischio, c'era stato un bis letterario flop di K.W. Jeter) si avvera: le riprese sono annunciate per l’estate del 2016.

Tutti hanno in mente l'atmosfera resa da Scott, l'incubo del Tempo (i replicanti, che vivono 4 anni, vengono fabbricati e utilizzati come forza lavoro nelle colonie extra-terrestri.

Replicanti che si danno alla fuga o tornano illegalmente sulla Terra vengono cacciati e «ritirati dal servizio» da agenti speciali chiamati Blade Runner) ed alcune battute classiche («ho visto cose che voi umani non potete immaginare...»).

Noi viviamo già nel cine futuribile: passato senza odissee particolari il 2001 di Kubrick, siamo vicini al 2019 di Blade Runner, ma il secondo round partirà varie decadi dopo il finale del primo. Che, com'è noto, ha due versioni: quella uscita sugli schermi con un lieto fine romantico in cui Harrison (“non cercano killer nelle inserzioni dei giornali. Quella era la mia professione”), poliziotto che deve ritirare gli androidi «scaduti», fugge verso il futuro con la sua replicante preferita Sean Young (“Non sono nel business. Io sono il business»). Lei era capace di memoria e sentimenti: «Rachel era speciale, non aveva data di termine. Non sapevo quanto saremmo stati insieme. Ma chi lo sa». E ancora: «Non era previsto che i cacciatori di replicanti avessero sentimenti: che mi stava succedendo?». E poi c'è la versione ‘92, il director's cut, in cui Scott taglia 7 minuti, la scena ecologica conclusiva (materiale regalato da Kubrick che l'aveva girato per Shining) e aggiunge il sogno di un unicorno simbolo, da parte del protagonista che in questo modo ammette d'essere un replicante. E nel 2007 ancora un altro finale in cui si aggiungono inutili particolari violenti.

Forse sono solo trovate commerciali della Wamer Bros, che si dice avesse imposto la voce narrante e l'happy end. La verità è da scoprire: Harrison Ford sostiene da sempre che Rick non è un replicante, punto e basta. L'abolizione della voce off toglie al film quell'aria da noìr che ne fa uno dei pregi stilistici, pur in clima reso futuribile dai trucchi e dalla scenografia di Trumbull in una Los Angeles piovosa e nebbiosa. Il regista disse: «È un film ambientato tra 40 anni ma girato con lo stile di 40 anni fa».

Paragonato al Lang di Metropolis, tacciato di fantasy marxismo, pervaso dalla musica di Vangelis, Blade runner è diventato un successo anno dopo anno, grazie anche alla fonte letteraria, il racconto di Philip K. Dick: «Ma gli androidi sognano pecore elettriche?». Certo rimane uno dei capisaldi del senso futuribile anni 80, insieme col Pianeta delle scimmie e 1999 fuga da New York.






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