Vacanza di sangue col mostro
di Maurizio Porro
Copiando pari pari l'idea già non eccezionale di un fortunato serial dell'horror americano che si intitola "Venerdì 13", il nostro Ruggero Deodato, evidentemente a corto di ispirazione, rielabora senza fantasia la storiella degli efferati e misteriosi omicidi che si consumano in un camping, dove ragazzi e ragazze sono vittime della furia omicida di qualcuno che naturalmente ha i suoi problemi sessuali da risolvere.
Sul luogo, anni prima, c'era già stata una strage, e anche questo lo si sapeva dall'altro film. In più, in questa imitazione italiana - sembra come quando i giapponesi fotografano e copiano le nostre vetrine - c'è anche una malmaritata con problemi di coppia, un marito odioso, un amante efficiente.
Tra un urlo e l'altro, e poche gaiezze, in un panorama naturale non poi così bello da giustificare il rischio, l'assassino ne fa fuori a più non posso. Finché viene smascherato. Diciamo chi è, perché non è affatto una sorpresa, è il bambino, ora adulto, che da piccolo aveva visto il primo mostro all'opera. Ma sarà così semplice? No, la storia continua, il finale è aperto, qualcun altro si è messo la «maschera-Psycho» e si avventa ancora una volta con l'ascia: e anche questo, se vi ricordate, lo sapevamo dagli altri film.
Prodotto già noioso e ripetitivo, ideato come horror movie di serie B e poi uscito, miracoli della sorte, di serie C, Camping del terrore è un manuale di banalità, mescola vari personaggi tutti prevedibili e giovanilistici al peggio, senza che nessuno ci accenda il cuore di qualche timore o di speranza. E gli attori fanno tutto quello che si sentono in dovere di fare con questa sceneggiatura e questa storia: la faccia torva, l'urlo di terrore, l'ansia, l'arguto sguardo di chi forse ha capito. È un film-poltergeist, che potrebbe saltar fuori dalla Tv in un attimo, e andrebbe anche bene, con i suoi spot in mezzo, ma perché proiettare ancora oggi al cinema questo tipo di prodotto? Tra gli attori, Mimsy Farmer, un po’ appassita e due emergenti come Nicola Farron e Nancy Brilli, degni di miglior causa.
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