Fra mostri, serpenti e magie come arrivare salvi alla meta
di Maurizio Porro
Nel nome della "fantasy" più esasperata e barocca - senza luogo, senza tempo e spesso senza senno - ma tenendo ben presenti le truculenze con cui ha fatto la sua fortuna nel genere horror, il regista Lucio Fulci gioca in Conquest la carta quasi epica dell'eroismo e delle maschie virtù guerriere, premettendo il classico «c'era a volta...». Non a caso il film si apre e si chiude con una citazione d'annata, che suona incirca così: "Tutti nella vita incontriamo il male. Gli uomini si dividono in due categorie, quelli che lo lasciano passare e si scansano e quelli che lo affrontano rischiando la morte."
Ovvio che Ilias, giovanotto dal lungo capello e dai lunghi calzari, appartiene alla seconda stirpe. Con il viatico di un vecchio saggio che sembra un bel re Lear di una volta, intraprende il suo viaggio, non si sa bene né dove, né come, né perché, ma si capisce subito che quel che conta in questa favola di terrore sono il suggerimento scenografico, la sensazione, l’atmosfera, l’effetto e l’effettaccio speciale, il trucco, la bestia, il serpente, il cervello tipo cono gelato eccetera, e qui in effetti il film gioca le sue carte migliori, perché di sceneggiatura né tanto meno di soggetto non si può proprio parlare.
In questo paesaggio violento e arcaico, Ilias incontra un amico, Meis, se abbiamo capito bene (e speriamo non si scriva Mace, all’americana), un barbuto omaccio ancor giovane che convive con due donne, è alto quanto basta per sconfiggere i forti e proteggere i deboli e va d'accordo sopra tutto col regno animale. Forse non si lava molto, ma ha lo sguardo simpatico. Sopra di loro i potenti dei sono mostri, sono signorine discinte che fanno pascolare serpenti tra le loro gambe e hanno il volto alla "goldfinger" ricoperto da maschere auree, sono orribili divinità che pretendono sacrifici umani essendo capaci di sacrilegi e sortilegi.
Meno male che qualche magia è in dote anche ai nostri ragazzi, per esempio riescono a scoccare al momento opportuno mortali frecce dorate dal loro molto concupito arco. Sicché alla fine, dopo le solite alterne peripezie (imprigionati, fuggiti, divisi, finalmente salvi) la bontà avrà la meglio e i mostri scompariranno in modi assai mostruosi, perché appunto ogni uomo incontra il Male eccetera eccetera.
Sul piano tecnico il film non è male, i mutamenti a vista (uomini che diventano cani e altre prodezze, strane pietre parlanti) sono ben realizzati insomma l’apparato del grande artigianato all’italiana regge sempre, anche per quanto riguarda la sensibile fotografia di Alejandro Alonzo Garcia, che italiano non è.
Ma, esclusi i suggerimenti, puramente sensitivi, affidati al paesaggio e alla bella ricerca scenografica, Conquest cola a picco nella storia e nel disegno, pur sommario, dei personaggi, affidati ad attori, Jorge Rivero e Andrea Occhipinti, che, in questa occasione non possono che sfoggiar muscoli e stupori, ma si capisce che anche a loro non basta e soprattutto Occhipinti da capire di essere lì per caso. Ma Fulci ci dà dentro soprattutto nel grand guignol e qualche volta ottiene silenziosa attenzione, anche se gli manca quel "di più" per far si che la facoltà visionaria sorregga tutto il film. Ogni riferimento omerico è puramente casuale, quelli a Indiana Jones sembrano più pertinenti.
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