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La favola di un'opera lirica


di Mariarosa Mancuso


Nel musical di Stephen Sondheim il lieto fine delle favole arriva a metà. Giusto: le preghiere esaudite provocano più lacrime delle preghiere respinte, e in fondo moriamo dalla curiosità di sapere se veramente il principe azzurro e la cenerentola di turno "vissero a lungo felici e contenti". Into the Woods ha i testi di James Lepine e la partitura musicale del genio che conosciamo per Sweeney Todd, serial killer nella Londra di fine Settecento, mentre la consorte faceva sparire i cadaveri cucinando pasticci gustosi: tragedie e black humour sono garantiti anche nei boschi (bellissima era la versione per il cinema diretta da Tim Burton, con Johnny Depp e Helena Bonham Carter).

Il musical che rivisita le favole andò in scena per la prima volta nel 1986, con grande successo. Non è invecchiato di un giorno. Tra gli ispiratori, Stephen Sondheim cita Bruno Bettelheim e il suo saggio Il mondo incantato, uscito dieci anni prima. Potremmo aggiungere le favole riscritte da Angela Carter in La camera di sangue (fanciulle coraggiose che tengono testa al lupo cattivo, alla Bestia, a Barbablù: "ho solo tirato fuori quel che già c'era", disse con piglio femminista). Sul fronte del teatro musicale, il maestro si chiama Oscar Hammerstein II: conosciamo anche lui grazie al cinema, per Tutti insieme appassionatamente che ci tormenta ogni Natale, e per Carmen Jones, riscrittura di Bizet ambientata durante la Seconda guerra mondiale (Carmen fabbrica paracadute).

Più che un musical, costruito con scene realistiche alternate a canzoni (genere odioso a molti, quando non piace non esiste rimedio), Into the Woods è una moderna opera lirica. Cantano quasi sempre - e tutti benissimo, da Emily Blunt a Meryl Streep, da Chris Pine (il giovane Kirk scelto da J. J. Abrarns per il prequel di Star Trek) a Anna Kendrick, accanto a George Clooney in Up in the air. Bisogna saperlo prima di comprare il biglietto, quando ancora brucia la delusione di Les misérables diretto al cinema da Tom Hooper: la faticaccia degli attori che cantavano in diretta era inquadrata a tutto schermo (a teatro era un incanto). Rob Marshall, già regista di Chicago, anche tra le favole si muove benissimo.

Into the Woods intreccia in una sola trama Cenerentola, Raperonzolo, Jack e la pianta di fagioli magici, Cappuccetto rosso. Un fornaio e la moglie non riescono ad avere figli, per la maledizione lanciata dalla strega cattiva dopo una bega tra vicini: è il primo degli aggiustamenti che svecchiano la storia. La mamma del fornaio, incinta, era ghiotta di verdure, papà le rubava dall'orto della strega, un ravanello provoca l'incidente definitivo, ed ecco che Raperonzolo si ritrova nella torre.

La scena di culto. Alle sorellastre di Cenerentola, per calzare la scarpetta, la mamma amputa l'alluce e il tallone. Verranno accecate dagli uccelli di Hitchcock, ormai la servetta ha sposato il principe. Fedifrago, dirà a sua discolpa che la favola lo vuole "affascinante, non sincero". Cappuccetto Rosso è una ragazzina petulante vogliosa di "fare esperienze", il lupo è Johnny Depp in un altro dei suoi travestimenti, meno disastroso dei baffi alla Poirot esibiti in Mortdecai.

Nella scena che diventerà. di culto, i due principi (fratelli per l'occasione) si lamentano perché le amate - Raperonzolo chiusa nella torre, Cenerentola che lascia il ballo - non vogliono saperne di loro. Fanno a gara di dolori: "agony" dice uno, "misery" risponde l'altro (per fortuna le canzoni sono state soltanto sottotitolate).

Gorgheggiano sullo sfondo di una cascata, ed è subito kitsch, delizioso e consapevole.






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