Il dio del dolore
di Francesco Brandoli, "Minas tirith" n. 4, ed. Tabula fati, 2014, 14,00 €, 176 pagg.
Un fantasy/mitologico scritto in uno stile aulico che ricorda quello delle Sacre Scritture, che racconta di una phanteon di divinità totalmente inedito, di un nipote del Dio supremo di questo che, non avendo ancora un suo ruolo definito, va a parlarne con quegli.
E ne esce talmente illuminato che, poi, capirà quale sarà il suo ruolo, fra gli dei.
Quello di essere il Dio della Morte, alla quale tutta la Vita prima o poi arriva, ma per poi rinascere a nuova, Vita.
Il romanzo racconta poi della guerra di questo novello Dio contro uno dei più potenti, di questi dei, il Dio della Guerra, che avrà sottomesso un intero pianeta col suo potere, incatenandone il sole, e portandolo quindi ad una totale aridità; e ad una guerra, appunto, infinita.
Questo Dio della Morte andrà su questo pianeta, chiamatovi dalla preghiera di un bambino, e sconfiggerà questo dio che aveva superato ogni limite di tollerabilità anche fra gli dei, e vi riporterà, per assurdo, la Vita.
Il sole e la vita, la normalità della vita, alla quale segue, ineluttabilmente, la morte.
Per ristabilire quell’equilibrio che la sete di poter del tiranno aveva rotto.
Davvero strano, decisamente anomalo, all’inizio lascia alquanto sconcertati per questo linguaggio, ma poi, in fin dei conti, avvince abbastanza, e si riesce a leggerlo senza troppo sforzo.
Certo il tema dell’esistenza come qualcosa di unico, nel senso di tutto unito, di un divenire nel quale le energie, e quindi anche la Vita, non vanno mai disperse, ma ritornano in un ciclo eterno, è stato detto anche maniere molto migliori, ma anche questo suo dirsi con questa allegoria mitologica può essere apprezzabile.
Anche se la lettura, a volte, risulta alquanto appesantita, da questo linguaggio così inusuale.
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