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Il diavolo abita in Tv


di Giovanni Grazzini


La società civile ha un bel rimuovere le vestigia degli orrori emersi dalla propria cattiva coscienza, ha un bel recingere di filo spinato la memoria degli incubi: attratta dal fascino del male, ogni nuova generazione vuole ripercorrere i luoghi dannati. Ed è proprio la Tv, satanico strumento della ragione tecnologica, a partorire i nuovi mostri che tentano d'impadronirsi del mondo.

Unico antidoto, l'amore.

La seconda puntata della saga demoniaca, scritta dagli stessi che firmarono la prima (Dario Argento, Lamberto Bava, Franco Ferrini, Dardano Sacchetti), e realizzata dalla stessa équipe tecnica (fotografo Gianlorenzo Battaglia, scenografo Davide Bassan, montatore Pietro Bozza), ma per la quale il regista Lamberto Bava ha fatto ricorso ai costumi di Nicola Trussardi, si muove su quella traccia ideologica, un po’ fragile ma non del tutto cervellotica. Vi si immagina infatti che a destare dal sonno i diavoli sepolti in una zona proibita siano quattro ragazzi spinti dalla curiosità. Essi sono i protagonisti di un film dell'orrore trasmesso dalla Tv, ma l'impensabile accade quando, per una goccia di sangue che ha riportato in vita un demone, questi esce letteralmente dal teleschermo e si avventa sulla povera Sally, una ragazza, già abbastanza isterica, la quale sta festeggiando con gli amici il compleanno.

Siamo in un grattacielo di Amburgo. Saltata la corrente elettrica, bloccate le uscite, l'artiglio di Sally contagia la maggior parte dei coinquilini, fra i quali sono una giovane sposa incinta, una quieta famigliola, un bambino rimasto solo in casa, i clienti di una palestra col loro istruttore. Per impedire che tutti siano contaminati dal sangue dei diavoli e dilaniati dai loro morsi, quest’ultimo si asserraglia nel garage insieme ai superstiti della carneficina, e quando i demoni vengono all'assalto tentano di fronteggiarli con ogni sorta di arnesi, ma nel frattempo ai piani alti sono successe cose terrificanti.

Un cagnolino, non a caso di nome Devil, si è trasformato in lupo e ha aggredito la padrona, il bimbetto ha partorito un orripilante rospaccio, due sventurati sono rimasti chiusi in ascensore…

Gli unici a mettersi in salvo sono i giovani sposi ma dove trovano scampo? Appunto in uno studio televisivo, e qui il discorso si chiude. Perché ad evitare che dal teleschermo esca di nuovo un demone, occorre che il marito mandi in frantumi tutti i televisori. Soltanto allora si potrà godere il fantolino che la signora ha dato alla luce…

C'è poco da dire: nel genere horror Lamberto Bava, allievo di Dario Argento, fa ormai concorrenza agli americani. Partito molto bene, con un montaggio alternato che poi sbocca nell'identificazione tra fiction e realtà, il film ripete in larga misura i modi del primo Demoni (pur con attori mutati), e confida soprattutto negli spaventi provocati dalla metamorfosi dei corpi fatti abitacolo di Satana, col loro debito corredo dì boccacce, occhi di fuoco e ghigni da belva, ma chi si diletta di questi ribrezzi gode da matto.

Demoni 2 è migliore della prima puntata. Sebbene la sceneggiatura perda colpi (c'è una storia di fianco, su un gaudente Jakob, che finisce in un vicolo cieco), qua e là il balzo sulla poltrona è assicurato, il filo ironico resiste al brivido, l'ambientazione ad Amburgo adombra il demoniaco che ospita fra i grattacieli di cristallo quella capitale del vizio, né mancano le strizzate d'occhio ai cinèphiles (le più facili a Bunüel e a Woody Allen). Chi preferisce il minuetto di Boccherini non ne esce esattamente gratificato, ma chi ama pregustare l'Apocalisse può accomodarsi.

Grazie alle invenzioni insane di stregoni dell'effettismo quali Sergio Stivaletti e Rosario Prestopino, alla recitazione a dir poco concitata di Coralina Tassoni (Sally), Nancy Brilli (Hanna), David Knight (George), Bobby Rhodos (il negrone della palestra), anche del piccolo Marco Vivio, e alle musiche indiavolate di varie bande, il film rende omaggio al cinema con bave, liquami schifosi, e visacci dì zombies per cui o si vomita o ci si regge la pancia dal ridere. Ma c'è anche chi applaude.






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