Recensione di Marco Abate a "L'occhio insonne"
L'ambiente: come sfogliando un carciofo, strato su strato, Compton ci mostra e ci punge con la realtà del suo libro.
Primo strato: oh che bel castello. Un capitalismo "realizzato", un clima da pace sociale, senza motivi di ribellione verso alcunché. È il mondo di Katherine, un posto importante in una casa editrice (ma ora i libri li scrivono i computer su programmi standard), al secondo matrimonio (che ora sono a termine, si possono rinnovare o sciogliere a piacere), in cura da uno psichiatra per alcuni frequenti mal di testa.
È il mondo di Roddie, "l'occhio insonne" del titolo, l'uomo con una telecamera innestata negli occhi; al servizio di una compagnia televisiva, la NTV, che registra quello che lui vede e poi lo ritrasmette in programmi televisivi che ricordano "I mercanti di dolore" di Silverberg (v. ROBOT 28/29) o celeberrimi racconti di Sheckley. È il sogno di ogni reporter televisivo: la telecamera perfetta invisibile.
Secondo strato: la vita non è poi bella come sembra. I mal di testa di Katherine sono il primo sintomo di una delle rarissime malattie mortali rimaste. Prognosi: morte in quattro settimane.
Roddie inizia a chiedersi quanto sia giusta la scelta che ha fatto, il privarsi di ogni intimità e la possibilità di far entrare milioni di persone in quella degli altri. Viene deciso il soggetto della prima trasmissione che deve girare: Katherine e la sua malattia.
Terzo strato: le certezze crollano come castelli di carta. I mass-media, finti servi e veri padroni di un mondo affamato di emozioni, assaltano Katherine come sciacalli, e a ben poco servono i tre giorni di relativa tranquillità forniti da una dichiarazione di "Dolore privato".
In questa caccia si inseriscono Roddie e la sua compagnia: devono avere l'esclusiva. Risultato: la morte (l'assassinio) di un giornalista intraprendente e simpatico che era riuscito ad avvicinare Katherine e la cattura di alcuni studenti, che l'avevano rapita per far liberare centodieci altri studenti, in carcere da diciannove mesi in attesa del processo.
Quarto strato: la realtà continua a filtrare da sotto gli specchi. Katherine rifiuta di essere data in pasto alla televisione e, travestitasi, fugge o, meglio, crede di fuggire; con lei visitiamo il quartiere degli emarginati, diventato attrazione turistica, mentre con Roddie scopriamo che la città è circondata da mesi da un immenso corteo di protesta, ormai assimilato ad una calamità naturale, lo vediamo perdere la testa ed investire due manifestanti, lo vediamo uscire di prigione come se nulla fosse accaduto, grazie all'intervento della NTV.
Quinto strato: la crisi si avvicina. Roddie raggiunge finalmente Katherine, in una chiesa dove si rifugiano gli spostati, i mendicanti, i fuggitivi, diventano amici e insieme escono a piedi dalla città, lei convinta di essere finalmente salva, lui aiutandola e tradendola, ma tradendo anche se stesso, tutto quello in cui aveva creduto.
Katherine sta sempre peggio: rigidità, paralisi, perdita di coordinazione e chi più ne ha più ne metta. Una pacchia per la trasmissione, una tortura per Roddie, perennemente assillato da dubbi.
Sesto strato: il crescendo culminante. Roddie vede una puntata del suo programma: è la goccia che fa traboccare il vaso. Per salvare quel poco che resta di vero e integro in lui e Katherine, si acceca. La compagnia televisiva accorre, ma loro si nascondono da un burattinaio (del tipo di quelli che facevano spettacoli per bambini nelle fiere di paese) che avevano aiutato, il quale li porta, su loro richiesta, dal primo marito di Katherine.
Settimo strato: la calma dopo la tempesta. Katherine, ritrovata la sicurezza del suo ex- marito, raggiunge la pace della morte, mentre Roddie decide di ritornare, cieco, dalla sua ex-moglie.
Infine apprendiamo come tutto sia stato inutile: Katherine era solo nevrotica, è morta per autosuggestione, la malattia era un'idea della compagnia televisiva.
La realtà mostrataci da Compton, evidente specchio della nostra, è integralmente rifiutata. L'autore contrappone l'inutilità dell'enorme marcia di protesta alla follia, al sadismo della rabbia di Roddie; confronta il poliziotto che urla "Assassino!" e piglia a calci Rod con la centrale di polizia dove viene trattato con ogni riguardo e subito liberato. All'inutilità di una reazione si contrappone l'ingiustizia dell'accettazione; è questo, sembra dire Compton, il mondo dove dobbiamo vivere? È assurdo, ingiusto, inutile: torniamo nel passato, dove tutto questo non c'era.
Il ritorno al passato individuale, la regressione: è questa la risposta dei protagonisti. Tutti e due, prima integrati, poi ribelli, scelgono infine il ritorno alla loro condizione precedente la crisi, rappresentata dagli ex-mariti ed ex-mogli, come unica salvezza (l'unico personaggio positivo, il burattinaio, è una vestigia del passato). Al proposito sono emblematiche le frasi finali del libro: "Sei tornato, - disse. Non ero tornato, naturalmente. Non era così facile. Ma ero sulla strada buona". (Pg. 223).
Ritorno ad una situazione passata "oggettiva" come espressione del ritorno ad un passato "soggettivo", individuale: il "ritorno nel grembo materno" come risposta regressiva alle crisi esterne simboleggiato, oltre che dal ritorno al passato, dal buio. Entrambi i personaggi trovano la loro pace interiore nel buio, della morte una, della cecità l'altro.
Molto altro si potrebbe dire su questo libro, molti altri temi si potrebbero sviscerare, ma questo ci porterebbe oltre i limiti di questa recensione. Per concludere, un modesto consiglio: leggete questo libro, e poi vedete cosa riuscite a tirarne fuori. Può essere un modo più creativo di leggere, fors'anche un gioco, e forse riuscirete a divertirvi come mi sono divertito io.
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