Recensione di Mirko Tavosanis a "L'ora di ottanta minuti"
L'ora di ottanta minuti / Brian Aldiss. - Milano: Sperling & Kupfer, 1991. - (Fantascienza). - Cm. 21, p. 291. - L. 24.900. - Titolo originale: The Eighty-minute Hour (1974); traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli.
Nella recensione precedente si era accennato a come molto materiale di Aldiss, pur conservando un gusto tutto particolare, possa essere accostato poi alla produzione di altri autori di FS. Che il nostro Brian sia capace di
adattarsi a mode e stili del momento risulta ovvio per chiunque l'abbia visto impegnarsi, negli anni '80, sul ciclo di Helliconia, esempio più unico che raro di come uno scrittore 'sperimentale' dei dorati anni sessanta abbia saputo convertirsi all'andazzo dei decenni successivi, alle tri e quadri e decalogie, ai pittoreschi polpettoni ambientati su mondi alieni; sarà quindi tanto più semplice convincersi di come anche questo L'ora di ottanta minuti risenta degli influssi di un numero notevole di autori. Chi? Van Vogt, Dick, Zelazny ...
Certo, mi rendo conto di come sia difficile poter dimostrare l'esistenza concreta di tali ispirazioni. Ma se si dà per scontata una certa peripateticità di Aldiss, diventa tutto più semplice, e magari si può anche metter su un giochino, tipo, beh, vediamo, la Terra postcatastrofe con cui si apre il libro quanto potrà essere in debito con Io, l'immortale? E la struttura del dialogo? Ed i paradossi temporali, avranno qualche rimando preciso? Dick o Le armi di Isher? Può sembrare un giochino futile, e forse lo è, ma rende anche bene l'idea di come il tono di questo libro varia. L'intricata trama - con illogicità sottolineate dai personaggi stessi - sembra fatta apposta, oltre che per dar sfogo all'immaginazione dell'autore, per miscelare diversi tipi di fantascienza.
Ed immaginatevi, dunque: lotte per il potere nel 1999, dopo che la guerra nucleare si è consumata; lo sprofondamento dell'Inghilterra (di cui ci vengono mostrate alcune conseguenze surreali); falle nel tempo che si aprono un po’ dappertutto, pianeti interi con le loro strane ecologie, e la distruzione del Computer Complex, e paradossi a volontà. Più canzoni e duelli e testi in rima - tradotti, beh, certo, tradotti:
"Mentre chiudeva per la notte la sua gamma di terminali, Chambers si mise a canticchiare fra sé e sé.
"Sono stato educato molto tempo fa,
molto tempo fa e lontano da qui,
credendo nella sua necessità.
Comunque la vecchia Terra si tramuti,
comunque si riassesti, si,
per me non cambia la realtà" (p. 132).
Ancora una volta, insomma, Aldiss mostra quanto sia godibile il suo stile nella descrizione e nel singolo tratto sardonico, e viceversa quanto sia fastidioso il complesso del suo modo di fare quando si lascia prendere la mano. Un prodotto che ha un bel po’ di difetti, allora, ma che a me spesso piace - e poi, dopo aver buttato giù qualche centinaio di pagine dell'ultimo Asimov o di Orson Scott Card (pura banalità vergine 100%, testata e garantita), anche lo sperimentalismo più astruso e gratuito non può che essere un sollievo.
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