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di Jean-Francoise Jamoul


PROLEGOMENI


Come la freccia di Zenone, che non può raggiungere la sua meta perché in ogni istante essa è un punto definito, il che equivale ad essere in stasi, sembra che il pensiero attuale si compiaccia nel moltiplicare all'infinito gli intermediari, la concatenazione delle sue ragioni, divenendo incapace di pervenire ad un intento.

Sembra anche di assistere alla fine di un mondo, come pure agli sforzi incoerenti d'un mondo che vuol nascere, e del quale ancora non possiamo percepire granché. Cosi il fatto che l'attuale SF sia nel suo insieme assai pessimista non ha nulla di particolarmente sorprendente: essa non fa che riflettere i turbamenti, le incertezze della nostra epoca.

In pochissimo tempo il nostro mondo si è trovato aggredito da un mucchio di domande e problemi cui finora nessuno aveva pensato, al punto tale che sembra impossibile poter ragionare sanamente su questo stato di cose senza perdersi nell'inestricabile. Da qui un'impressione d'impotenza, d'incoerenza: coesistenza di dottrine, di ideali, di tendenze assolutamente opposte. Razionale e irrazionale che possono tutt'in una volta combinarsi in differenti tipi di società ed anche di individui.

Non è più possibile, come solo … diciamo un secolo fa, cercare nel presente la continuazione e lo sviluppo degli eventi prodottisi nel passato, quando una relativa continuità regnava nelle menti. Scienza e tecnica camminavano pressoché di pari passo con lo sviluppo dell'Homo-Sapiens. In meno d'un secolo esse lo hanno sorpassato fantasticamente. Sembra che per il momento il nostro Homo-Sapiens sia proprio incapace di armonizzare, di razionalizzare tutte quelle complesse trasformazioni che hanno colpito tanti campi e certezze. Conosciamo ora, e questo è un fenomeno del tutto nuovo, le dimensioni della nostra dimora, il nostro mondo è divenuto qualcosa di finito, possiamo averlo sotto gli occhi come un tutto, e questa è davvero una situazione nuova. Una delle tendenze più frequenti dell’essere umano lo porta a perpetuare dei modi d'essere, di pensare, degli stati d'animo che non sono più in rapporto con le situazioni presenti. Ciò è comprensibile: l'essere umano si accontenta molto facilmente di una politica della vigilia o dell'antevigilia in quanto già' integrata nella sua vita. Rimettere in questione vita e pensiero significa rischiare di perdere vantaggi acquisiti. Inoltre la preponderanza del passato è forte, anche se sappiamo che gli orizzonti della nostra esistenza si determinano sempre più in funzione del futuro. Come accordare gli animi su di una stessa frequenza temporale quando i dirigenti degli stati, i politici, sono essi stessi prigionieri dei sistemi stabiliti e presentano questo fenomeno di sopravvivenza?

La crescente interdipendenza dei fattori economici diviene tale che sembra impossibile muovere e cambiare un elemento senza che di conseguenza cambino tutti gli altri. Le macchine per comunicare si moltiplicano, e mai la comunicazione è stata tanto difficile; alla fine l'essere non cerca più veramente di comunicare, ma d'identificarsi, dì imitare quanto gli appare più vicino alle sue tendenze. Un bisogno di rassicurazione e conformismo lo spinge ad internarsi in modelli d'azione chiusi: partiti, gruppi, gruppuscoli, sette, conventicole Questa interdipendenza crescente d'innumerevoli fattori non impedisce affatto agli stati di continuare a praticare un provincialismo culturale e uno sciovinismo politico tra i più buffi e pretenziosi. Nello stesso tempo le nostre società sempre più divengono organismi inadatti e di grande fragilità: società nevrotiche in perpetua contraddizione; così l'apparente liberalizzazione dei costumi ha per contrappeso il rafforzamento degli apparati repressivi; più la libertà aumenta più l'abuso di libertà sarà sottilmente represso.

I circuiti sempre più complessi delle reti di comunicazione ed informazione vengono ad aggiungere disordine e confusione e rafforzare un disagio sicuro. Senza sosta gli avvenimenti del mondo intero giungono a trasmettersi ad ogni livello sulle telescriventi, in giornali, riviste, bollettini d'informazione radiofonica e televisiva. Qual’è l'influenza di questa continua valanga d'informazione a medio e lungo termine? In realtà non ne sappiamo nulla. Nello stesso tempo ci è difficile non cadere nella trappola di ciò che si tende a far passare per realtà immediata, mentre molto spesso essa non ne è che il simulacro. È fuor di dubbio che una gran parte dell'informazione scritta, sonora, visuale, ci viene data secondo certe intenzioni, che essa tiene conto del campo sensoriale nel quale siamo abitualmente immersi, e che i nostri occhi e le nostre orecchie decifrano in funzione della nostra stessa intenzionalità. In tal modo ciò che ci viene presentato come una rappresentazione della realtà, altro non mantiene con essa che delle analogie. È certo che i grandi stati, ma anche piccoli, tendono sempre più e per diverse ragioni verso forme di totalitarismo. Ciò che li differenzia per il momento non è che una questione di gradi, di evoluzione storica, economica e ideologica. Non è certo che per ora ci sia possibile sfuggire a questi di diversi totalitarismi, che non sono necessariamente voluti né desiderati dalla maggioranza dei politici, dei dirigenti statali.

In un senso essi pure sono prigionieri, inglobati nell'incredibile groviglio del nostro attuale mondo, ed i loro margini di manovra sono più che limitati. Un numero infinito di fattori determina il successo di questo o quello. La maggior parte dei piani che mettiamo all'opera porta sovente conseguenze che non avevamo previsto. D’altro canto ben sappiamo che pianificazione e verticismo non possono confermarsi a lungo nell'economico, per fare un esempio. È nella loro natura eliminare tutto ciò che li intralcia per mantenersi nella via tracciata. Il conducente perde ben presto il controllo del veicolo che ha messo in moto, il suo movimento non obbedisce più che alle sue proprie leggi. Anche la propaganda è divenuta d'una necessità assoluta per i nostri stati moderni, propaganda tendenziosa: l'importante è mascherare il reale, alterare la verità, alterare l'insieme delle realtà umane. Più che mai, la nostra salvezza non può essere che individuale.

Noi abbiamo corso leggendo. Per paura di perderlo noi non afferriamo il tempo, e non scopriamo ciò che perdiamo: il tempo è un senso di cui siamo dotati per ridatare quello ch'è celato in cose, opere, spettacoli, libri, ogni tentativo d'espressione. Ci amputiamo di questo senso e amputiamo le opere delle loro vere dimensioni; non sappiamo più leggere, corriamo, giudichiamo. I nostri giudizi, quand’anche favorevoli, sono perlopiù sofismi di semplice ispezione. Siamo scusabili: poche opere, pochi autori meritano lo studio e la rilettura attenta che offrono l'occasione a questo senso rivelatore di manifestarsi. Noi stessi, per tante, svariate ragioni, quotidiane, non siamo sempre in stato di grazia, neppure ben disposti: occupati, la testa troppo spersa, o non abbastanza, la percezione intasata, dimenticando che il grosso dell'iceberg è sott’acqua.

In questo modo è interessante rileggere vecchie critiche, sono istruttive e rivelatrici di quest'attitudine allo sfrisamento. Di fronte ad uno scrittore come Ballard ciò può spiegarsi parzialmente, la sua opera è complessa, difficilmente classificabile, non entra mai in un genere, SF, fantastico, surrealista, simbolico… ma partecipe di tutte queste tendenze, pur mantenendo, sempre, la massima unità. Immergersi in Ballard è un po’ avventurarsi nel profondo d'una miniera dove, a voler seguire tutte le gallerie o cercare di tener dietro ai vari filoni, rischiamo di smarrirci.



PRIME INDICAZIONI


Più un'opera possiede ampiezza e più attinge al mito; la sua identità strutturale sarà così forte che la sua evoluzione ne lascerà immutate le strutture fondamentali. Ognuno la recepirà in modo diverso; pare impossibile definirla una volta per tutte, ed ogni critica si esaurirà per dimostrare che la sfaccettatura del talento o del genio dell'autore d'un tale lavoro, per lui più visibile, è la faccia essenziale della sua opera. Sembra proprio che carattere della letteratura (dell'arte in genere) sia di sfuggire ad ogni riferimento di criterio valutativo troppo stretto, troppo particolare. Numerosi critici di varia ispirazione hanno spesso emesso giudizi fantasiosi in merito alla letteratura, all'arte, basandosi su criteri non letterari ma solo di ordine etico e politico. Il realismo, la verità sociale o storica, le prese di posizione … ecc., non sono di per sé valori artistici, opere ben importanti ne sono totalmente sprovvisti. Aggiungiamo che neppure la psicologia è un valore indispensabile. Così delle opere qualsiasi offrono spesso migliori documenti per il sociologo o lo storico.

Per ciò che riguarda Ballard ci accontenteremo di effettuare un certo numero di sezionature nella sua opera che ci daranno già un certo numero di indicazioni determinanti.

C'è un Ballard descrittivo e plastico. Si è colpiti dai suoi frequenti riferimenti a pittori, poeti e musicisti.

Ve n'è anche uno metafisico, uno platonico, uno plotiniano; la nozione di tempo e spazio in lui è fondamentale, sempre legata al descrittivo ed al plastico. Non esamineremo qui il lato iniziatico e la progressione spirituale, ma dobbiamo pur sempre indicarla, tanto più ch'essa sarà più o meno sottomessa nel testo che seguirà.

L'autore stesso ci tende una seria di "chiavi" che ci permetteranno di percorrere, meglio, di avvicinare il suo universo.



PRIMA "CHIAVE" A PROPOSITO DEL "BAROCCO"


"Forse era questa dote temperale che spiegava l'eterna attrazione delle pietre preziose. La stessa dei dipinti e dell'arte barocca. Tutti quegli intricati ornamenti, quei cartocci architettonici che occupavano ben più che il loro volume fisico nello spazio, allo stesso modo davano l'impressione di godere di un tempo più lungo, da cui quell'inequivocabile sensazione di immortalità che si avvertiva in San Pietro nel Palazzo di Nymphenburg. Per contrasto, l'architettura del ventesimo secolo, caratteristica per le sue strutture rettangolari e spoglie di decorazioni, basata sulle semplici assi euclidee di spazio e tempo, apparteneva al Nuovo Mondo, dove l’uomo era fiducioso del suo progredire nel futuro e indifferente alle intuizioni della mortalità che turbavano la mente della vecchia Europa." (Foresta di cristallo, p.194, Longanesi).

Precisiamo. che il barocco di Ballard si ricollega ad un tempo con quello del diciottesimo secolo e con la sua degradata resurrezione degli anni 1900-1925: e che questo movimento non tocca soltanto la pittura, la scultura e l'architettura, ma anche la poesia, il teatro e la musica.

Particolarmente sensibile, nel ciclo di "Vermilion Sands" vi è un curioso sentore da barocco 1900-1925. Questo barocco "Modern Style" non è che una ripetizione svuotata di sostanza. Non ne restano che il taglio ed i tic. Sembra che vi siano due sole dimensioni; il materiale stesso si è degradato; così non è sorprendente che si sia dispiegato in casinò, hotels, ville strabilianti, camere e sale da bagno per cottes e semimondane. Molto bizzarramente era avvenuta una forma di selezione, a ogni tipo di costruzione corrispondeva più o meno un determinato stile. Le ricerche di forme lineari non sono per la maggior parte del tempo che tentativi di ringiovanire il vecchio repertorio ornamentale. Tutte queste nostalgie neo barocche sono seducenti, riposanti e rassicuranti, ma la funzione di quest'arte non è che decorativa; è il simbolo di un mondo che cerca di sopravvivere a sé stesso, e si manifesta con repliche svilite; sotto il suo apparente rigore ha qualcosa di inconsistente; con il regresso del tempo ciò che di più forte secerne è la nostalgia, e la nostalgia è proprio il sentimento, la categoria estetica predominante nell'arte.



L'OSSESSIONE DEL TEMPO E DELLE METAMORFOSI NELL'ARTE BAROCCA


Si è trattato d’uno dei movimenti più dinamici nella storia dell’arte: sorto in parte dal movimento di controriforma, la sua volontà di reazione contro l'arte classica si affermò assai rapidamente. Oltre al desiderio, in parte cosciente, di spezzare lo spazio euclideo, si fa sentire una nettissima volontà di uscire dai sistemi di pensiero "logici e ragionevoli", il rifiuto di ordinare e classificare le sensazioni ed i sentimenti secondo i sistemi esistenti. Questo tentativo è anche una reazione d'angoscia, intesa in senso esistenziale. L'uomo "barocco" ha sentito con molta più forza dei suoi antenati il carattere fuggevole di ogni momento vissuto e la fragilità di tutto quanto forma il piacere dell'esistenza. Ogni cosa peritura acquista un valore incalcolabile. Il Tempo è la grande ossessione dell'uomo "barocco".

Non è quindi sorprendente che per definire questo monda instabile ed in movimento, essenzialmente fugace, l'artista "barocco" abbia fatto uso abbondante di metafore: il lampo, le sfere, la bruma, le nubi, l'acqua, l 'orologio, la clessidra a sabbia, ad acqua… nello stesso tempo la visione artistica, la creazione deve essere totale, occorre impiegare ogni risorsa delle più svariate arti per raggiungere un effetto finale che non sia solamente architettonico, scultorico o pittorico, ma "scenografia". Le ricerche febbrili di tutti gli artisti "barocchi" traducono perfettamente questa angoscia, questa ossessione del tempo e dello spazio. La laro opera ideale finalmente avrebbe potuto essere un immenso teatro in cui la rappresentazione fosse perpetua. Da ciò i loro molteplici tentativi di far nascere il sogno e creare l'illusione. Cosi tutti i regni della natura saranno sfruttati, rimescolati, per tentare, facendo esplodere le categorie, di giungere ad una percezione globale.

L’uso della spirale, della voluta, della colonna tortile; il gusto dei lavori a conchiglia, l'importanza delle conchiglie, delle chiocciole, sono rappresentativi di questo slancio violento verso l'asimmetria e la metamorfosi. Movimento che contiene il suo contrario: la pietrificazione. Il "barocca" farà grande impiego di specchi, di vetri, di acqua; proprio l’acqua, corre e scorre come il tempo, sarà la materia privilegiata dei poeti baracchi. Ama le illusioni ottiche, i muri di fronde, i marchingegni idraulici e teatrali. Nella decorazione degli edifici l'illusione di spazio è ottenuta tramite falsi lavori d'architettura disposti secondo le regole della prospettiva, costruzioni architettoniche in prospettive immense e complicate che moltiplicano ed allontanano i limiti dello spazio, non si sa dove inizia la pittura e dove finisce l'architettura.

L'arte barocca è ossessionata dal tempo, quindi si sforza di spezzettarlo, di spezzarlo. L'effimero è dolorosamente 'cristallizzato', curiosamente sospeso come tremulo sull'orlo dell'annientamento, bisogna fissare, "amare quello che mai si vedrà due volte". La bellezza è triste perché il suo fulgore illuminante e fuggevole è associato all'idea della sua fine: sforzo per eternizzare l’effimero. Una parola potrebbe riassumere l'arte barocca: Pompa, parola che suggerisce un'idea di magnificenza, di ostentazione, di arte e artifizio, piena di fasto e di gala. Il dubbio de "l'armonia del mondo" s'ingrandisce, poco a poco sostituito dal senso della discordanza, della dissoluzione, della degradazione. La continuità del tempo "classico" è spezzata. Lo spazio barocco diviene "sovrasaturo" di cerchi, di ovali, che s'incastrano, si compenetrano; i punti di fuga danno l'impressione di volerci "aspirare", e al contrario rifluiscono tumultuosamente verso di noi; tutto si articola in serie di curve e controcurve, le colonne si slanciano come razzi, le gallerie, vere o false, strapiombano sullo spettatore, sovracariche di ornamenti fino al delirio, personaggi dipinti o scolpiti. Le scale si slanciano o scendono a rimbalzi, come a scatti; le architetture folgorano verso il cielo, assumendo la leggerezza delle nubi; le nubi divengono masse dense e turbinanti; qui la luce è simile ad un'acqua che scivola, ruscella, s'infiltra e trasfigura, ma ad un tempo snatura e corrode le forme, perché l'universo barocco è universo "ingannevole" dove le cose non sono mai proprio ciò che sembrano, e la "materia" non vi diviene mai troppo estranea a sé stessa. Le metamorfosi devono essere continue, perché occorre superare il quadro della stretta ragione e dell'ordine convenzionale per accedere a un universo differente. Il modo: il parossismo e l'intensità; spingere le cose sino al limite del sopportabile, dell'esagerazione stessa, del cattivo gusto, dell'eccessivo. In mille modi l'artista barocco cerca l'istante in cui tutto si abolisce, quando ogni classificazione scompare.

Per illustrare il "barocchismo" di Ballard prenderemo un esempio da "Deserto d'acqua", esempio tratto dallo svolgimento della festa a bordo della nave-magazzino dove, accumulati su un ampio tavolo, sono disposti piatti d'oro e d'argento splendidamente decorati, dietro la tavola statue di bronzo brunito che portano vassoi di frutta e orchidee, e a chiudere il tutto un'immensa tela d'un allievo del Tintoretto, pittore già sorprendentemente barocco, raffigurante il matrimonio di Ester e del re Serse:

-… ma l'ispirazione pagana e lo sfondo della laguna veneta e dei palazzi del Canal Grande aggiunto all'arredamento e ai costumi cinquecenteschi… Ester ... una vaga, ma tuttavia inconfondibile somiglianza con Beatrice. Mentre fissava la folla del quadro, e le centinaia di invitati alla cerimonia, Kerans vide d'improvviso un altro profilo familiare: quello di Strangman fra i sorrisi crudeli del Consiglio dei Dieci, quando si avvicinò di più al dipinto la somiglianza svanì.

La cerimonia veniva celebrata su un galeone ancorato davanti al Palazzo Ducale, e i suoi elaborati ornamenti rococò sembravano fondersi in un'unica struttura con le volute e i cavi metallici della nave di Strangman. A parte lo sfondo identico, messo in risalto dalle due lagune e dagli edifici emergenti dall'acqua, l'eterogenea ciurma e Strangman avrebbe potuto essere uscita allora dal quadro, con i suoi schiavi ingioiellati e il negro capitano delle gondole. (Deserto d'acqua, p. 105; 1963)



UN BAROCCO PIETRIFICATO


Le affinità di Ballard con le arti plastiche sono l'evidenza stessa. La sua visione è quella di un pittore che impiega tecniche diverse. La complessità del suo stile giunge a rendere gli effetti di luce, di prospettiva, il gioco delle linee e dei colori, delle forme e dei rilievi, la qualità delle materie. La sua tecnica diviene talvolta quasi quella d’un orafo, di un cesellatore. Il ciclo di Vermilion Sands è una antologia delle grandi correnti pittoriche: simbolismo, romanticismo, preraffaelitismo, surrealismo, evocando ad un tempo i nomi di Salvador Dalì, la pittura metafisica di Delvaux o de Chirico, lo ieratismo di un Gustave Moreau e il lato soffocante e torbido di una Leonor Fini e di un Balthus. Per contro, romanzi come Crash, The concrete island, appaiono inseparabili dalla pittura iperrealista. Vi sono istanti nei quali il reale diventa cosi preciso che questa implacabile precisione gli fa raggiungere il mondo delle essenze, l'arresto ad un istante privilegiato ci fa intravedere un eterno presente, sottostante al presente apparente. Se questi privilegiati dipendono da una disponibilità dell'essere, essi sono innanzitutto legati a qualità d'ombra e di luce. La luce che bagna Vermilion Sands è una luce ideale, trasfigurata dalla memoria, ha qualcosa di dorato, comparabile ai soli occidui dei quadri di Claude Lorrain, di Turner. Per contro in Foresta di cristallo essa viene esacerbata, diventa prismatica; palpita e si spande con scoppi di gemme e vetrate, dividendosi malsanamente come in un quadro impressionista sfalsato fino all'eccesso. Queste luci sono anche l'acqua luccicante del tempo, dei tempi diversi come secerniamo e che bagna tutto il mentale dell'essere, la sua memoria. Vermilion Sands è un mondo silenzioso; di quel silenzio particolare dei mondi onirici; parole o vecchie arie possono sorgervi, non fanno che aumentare la qualità di questo silenzio. È anche un mondo letargico che tende alla pietrificazione, essa gli è necessaria per esistere. Solo la concentrazione e l'immobilità lo preservano dalla "division del temp"; reazione contro tutto ciò che passa troppo presto, contro l'effimero: meno lo si muove e più lo si fa resistere, più lo si raccoglie; la pietrificazione diventa astuzia, e allo stesso tempo proroga.

"… ho ricavato la certezza che ogni movimento porta inevitabilmente alla morte e che il tempo è il suo schiavo … Trovare una nuova soluzione al tempo e allo spazio ... " (Foresta di cristallo, p. 104). Avendo costruito uno spazio ideale vi si devono sistemare gli esseri che lo abiteranno, perché quest'universo parzialmente astratto non può essere la residenza di vivi. Gli esseri vi si muoveranno seguendo una logica segreta che non deve molto all'ordine del concreto. Certamente questo mondo ricreato secondo leggi autonome appare singolarmente precario, giunge ad una geometrizzazione del reale, a un sistema bizzarramente vacillante, per il fatto d'aver perso il suo punto d'appoggio naturale e che deve trovare in sé le proprie leggi statiche. Quelli che vi si muovono non sono né morti né vivi: ma alla fine i personaggi degli altri romanzi non sono in sostanza diversi, né morti né vivi, soltanto in The concrete island, Condominium, ad un certo momento cominceranno ad ergersi verso la vita. Ma lo spazio di Vermilion Sands non lo permette, neppure quello che tende ad insediarsi in Foresta di cristallo, la divisione del tempo non é ancora accettata. L'uomo, dice Plotino, presuppone le parti, cioè il diviso; è l'uno e la partecipazione all'uno che dà' il bello e il bene. Il tempo in quanto visione è anche il male: è solo al di là che iniziano libertà ed eternità. Sanders parla in una lettera di "qualche paradiso ancestrale in cui ogni foglia e ogni fiore esiste nell'unità perfetta di tempo e spazio." (Foresta di cristallo)



EVAPORAZIONE DEL TEMPO


Nella foresta di cristallo il tempo si dissolve, evapora, crea il vuoto e, scomparendo, cristallizza le strutture. Questo mondo raggiunge quello degli artisti geometrici e prospettori d'assoluto che non vogliono dischiudersi in un tempo infermo: l'universo di un Paolo Uccello, di un Piero della Francesca, di un Mantegna, per cui il reale deve passare, per giungere all'essenza, attraverso la sfera e i poliedri, e dove ogni elemento attraverso il numero andrà verso la sua profonda unità: "un definitivo zero macrocosmico che supera di gran lunga la visione più pazza di Platone e Democrito." (Foresta di cristallo, p. 107). Così l'Universo non sarà più che un infinito di strutture cristalline da cui ogni vuoto sarà escluso, il tempo abolito poiché sarà cessato ogni movimento. Universo che non potrà più aver seguito, ma un perpetuo ora nelle sue molteplici e infinite parti. Un essere vivente ideale oltre la morte, oltre la vita, l'universo perfetto dell'essenza.



UN TEMPO IMPUTRIDITO: DESERTO D'ACQUA


Qui entriamo nell'universo della proliferazione, della decomposizione; un universo di paludi, di lagune, di acque stagnanti. Le acque morte o dormienti, lagunari, sono ricettacoli di tutto quanto cade; al contrario delle acque correnti operano una misteriosa trasmutazione di quanto conservano. Proiezione del nostro mondo interiore e viscerale. Piove del tempo. Il tempo cade come pus, dilavante e dissolvente. Il tempo è un acido che ci corrode, ci monda poco a poco. Qui tutto sembra andare verso il rammollimento, il pastoso, una devastazione della materia … l'universo degli orologi molli di Dalì. Tanto il mondo crepuscolare di "Foresta di cristallo" era un mondo evolvente verso il secco e tanto qui sguazziamo nello spugnoso, l'appiccicoso ed il vischioso. Solo elemento apparentemente "duro", le pesanti bestie scagliose sguazzanti gravemente in un magma brulicante di acque e piante. Il tempo s’inverte (s'inverte davvero? Il vecchio raggiunge il mondo dell'infanzia senza che il tempo si rovesci). Tutto va trasformandosi in un brodo amniotico, e l’essere umano reintegrerà i tempi archeofisici. "È solo il tempo ad alterarsi?" se chiede uno dei personaggi del libro.



INFLUSSI


Un'opera non nasce spontaneamente, ha dei corrispondenti e proprio per questo ci rinvia ad altre opere. Se siamo lettori attenti in possesso d'una buona cultura ci è relativamente facile scorgere in un autore un certo numero d'influssi e questo quasi immediatamente. L'influsso del surrealismo su Ballard è tanto evidente da rendere inutile l'attardarvisi (in particolare la pittura surrealista benché l'apporto dell'arte "simbolista" e "decadente" non sia trascurabile). Un altro influsso sembra essere sfuggito alla critica: quello del pensiero tedesco contemporaneo, vale a dire la filosofia esistenziale. Diciamo influsso senza esserne del tutto certi; poiché ignoriamo se Ballard abbia letto i principali rappresentanti dell'attuale esistenzialismo, La nausea di J.P. Sartre ad esempio. Un influsso può prendere molte vie sotterranee, può essere completamente indiretto e giungere sino all'autore attraverso serie di sottili filtri, lasciandolo in una completa ignoranza dello stesso. Ma ogni influsso risale pur sempre ad una qualche identità di spirito, è una scelta conscia od inconscia che ci rivela poco a poco. Il nostro inconscio sa stabilire perfettamente criteri di selettività. Non si può sfuggire del tutto al proprio tempo, e la letteratura non può certo ignorare le grandi correnti filosofiche della sua epoca. Questo esistenzialismo di Ballard ci sembra più chiaramente enunciato in The concrete island e Condominium che negli altri suoi romanzi, forse perché questi due sono più spogli, d'un estetismo magico, quasi esorcizzante.

Il banale incidente di The concrete island, la torre di Condominium vengono a costituire fattori di rivelazione, come nel romanzo di Sartre La nausea, Bouville e i suoi abitanti. Rivelazione di che? è quanto cercheremo di esprimere, di suggerire.

Per Sartre, quello de La nausea come pure di varie novelle, il mondo è composto da Imbroglioni, l'Imbroglio è una vera etica: l'esistenza nella quale viviamo è priva di vera realtà, ma tutti gli esseri confusamente aspirano a questa Realtà; non la raggiungono, salvo pochi, ma grazie a sottili menzogne finiscono per pretendere di possederla, poiché l'Imbroglio è inseparabile dall'essere. Vi sono Imbroglioni buoni ed Imbroglioni cattivi. L'Imbroglio non è condannabile in sé, ma lo è quando lo si consideri fine in sé. In breve, La nausea è la rivelazione, lenta o brutale, di come il mondo in cui viviamo non è quel che sembra, cosi comincia a sparire dal pensiero tutto quell'insieme di concetti sociali che lo rendeva illusoriamente esprimibile; l'illusione della comunicazione.

Quale che sia la sua scelta politica, ogni società si sforza per molteplici ragioni, lodevoli o criticabili, di fabbricare dei 'sedativi'. Occorre che tutto sia ben definito, fornito di caratteri precisi, enunciabili; occorre per questo ergere barriere, muri, rifugi e mostrare che quanto accade, accade secondo certe leggi ch’è sconveniente mettere in dubbio. Per un verso noi siamo sempre allo stadio del pensiero magico, crediamo che l'impiego d'un certo numero di parole d'ordine allontanerà la possibilità di trasformazione, di sconvolgimenti gratuiti, senza leggi.

Un giorno, il crollo, abbiamo la rivelazione che tutti i nostri concetti tanto rassicuranti sono posti molto semplicemente fuori dalle cose, al di sotto si apre quello che Sartre chiama "l'innominabile", scopriamo l'Esistenza e che questa esistenza è pura contingenza, senza senso e senza che ne possa avere; il mondo, gli oggetti, i concetti, non sono che una mostruosa gratuita contingenza, senz'alcuna necessità.

La "nausea" allora è questo disagio, l’indescrivibile disgusto che ci prende quando l'"Esistente" non ha d’improvviso più alcun rapporto con quanto abbiamo imparato essere la realtà. È un po’ il passaggio dalla condizione "attore" a quella di "spettatore". "La contemplazione si sostituisce alla rappresentazione". L'impressione di realtà era in effetti un'illusione, un condizionamento, una situazione di "imbroglio" nella quale l'essere prendeva per sue ed autonome delle motivazioni, degli atteggiamenti che non gli appartenevano realmente, non era che un burattino, una marionetta obbediente ad atti di comportamento convenzionali e rassicuranti. Questa Rivelazione sembra di primo acchito coniugarsi ad un atteggiamento depressivo, alla depressione e sue diverse forme. Ma la condizione di depressione è sovente uno stato di ampia lucidità, forse il solo stato in cui l'uomo sia "naturale"; non gli è più possibile, come in stato "ordinario", obbedire e credere "all'abito dei concetti sociali". È certo che noi intravediamo assai di frequente l'universo della "Nausea", ma ci guardiamo bene dal farne l'esplorazione, di norma ne esploriamo le frange e torniamo nella "'normalità", continueremo ad impantanarci, ad invischiarci e nello stesso tempo lo negheremo. Quanto agli altri, che hanno avuto il coraggio o l'istinto di farsi carico della loro "Nausea", perverranno ad una realtà più autentica e abbandoneranno il mondo dei "mascalzoni", come li chiama Sartre. È curioso constatare come il mondo proliferante di Deserto d'acqua sia alla fine assai vicino all'incubo, alla visione dell'eroe della Nausea, Antoine Roquentin, quando vede le città e il mondo invasi da una vegetazione multiforme, proteiforme, mondo brulicante e viscoso che scaccia poco a poco l'uomo dai suoi rifugi, enorme tessuto canceroso moltiplicantesi senza necessità o ragione. La stabilità del mondo è illusoria e come constata Antoine "Le cose possono essere di tutto". Il mondo delle grandi città malgrado tutti i suoi lati inquietanti, è ancora quello dove pare di essere più riparati, sembrando falsamente più stabile il minerale, il meno subdolo fra tutti gli esistenti. Quelli di Ballard sono proprio mondi della proliferazione degli esistenti e della degradazione. La visione di Antoine Roquentin, sotto forma differente ma con identica sostanza, si ritrova in Per piccina che tu sia. È penoso, il men che si possa dire, vivere in un universo dal quale la necessità e assente, penoso trovarsi di fronte all'assurdità dell'esistenza, certo, ci è sempre possibile rifiutare l'angoscia di trincerarci dietro le abitudini collettive di pensiero, dietro certezze tranquillizzanti, ci basta in sostanza diventare un "mascalzone".

Come gli abitanti di Bouville, o rifugiarci in un mondo immaginario, per sfuggire all'esistenza "ufficiale". Ma questa fuga non costituisce un vero affrancamento.

Rifugiarsi come Antoine Roquentin nella stabilità assoluta dell'universo dell'essenza, universo perfetto, completamente fuori dal tempo, non è possibile se non per pochi eletti, ma è questa la "scelta" di Sanders in Foresta di cristallo. Ci resta, essendo assai limitata la nostra libertà, la scelta ristretta di provare a vivere su questo o quel piano d'esistenza. Potremo constatare che gli eroi di Ballard hanno un atteggiamento ben poco diverso dall'eroe sartriano.

Se la filosofia che si ricava dai libri di Ballard è alla fine vicina a quella dell'autore della Nausea, lo stile di Ballard è agli antipodi da Sartre. Per contro vi sono innegabili rassomiglianze tra la scrittura di Joris-Karl Huysmans (1848-1907) e quella di Ballard. Una volta soppressi certi "particolari" di stile propri del XIX secolo, è evidente che esistono singolari parentele, non soltanto stilistiche. Entrambi sono innanzitutto degli esteti dì gran erudizione. L'arte pittorica ha avuto gran peso in Huysmans, ed il suo stile ne risente come quello di Ballard. C'è in Huysmans un lato pre-esistenzialista: un romanzo Come A vau l'eau (1882) è una prefigurazione della Nausea, e sembra che questo romanzo abbia molto influenzato Sartre in gioventù. È vero che nella maggior parte dei romanzi di Huysmans, la Nausea non è mai molto lontana. Parimenti vi è nella sua opera una stupefacente proliferazione delle cose minerali e vegetali, di strane metamorfosi, la mostruosa mutazione erotica in Là-Bàs è un esempio sorprendente, Come la collezione di aberranti piante in A ritroso (1884), romanzo d'un estetismo febbrile, mondo artificiale ricolmo di clamorosi "gaagets", come l'organo a bocca, la stanza truccata che dà l'impressione d'un viaggio per mare.

L'eroe di Huysmans, Jean des Esseintes, pone la stessa cura maniacale a rinchiudersi nel suo universo artificiale e ad uscire dalla vita quanto Vaughan, l'eroe di Crash!, nel preparare la sua morte. C'è in Huysmans un aspetto onirico d'incredibile precisione; cosi non è sorprendente veder figurare nell’Antologia dell'humor nero di Breton il viaggio nella luna di En Rade. Che Ballard non abbia. mai letto Huysmans è pure possibile, non occorre sottolineare che il romanzo A ritroso conobbe un gran successo in Inghilterra, al suo apparire, negli ambienti "decadenti", e che esercitò una grande influenza su persone assai diverse. Per mostrare le analogie esistenti tra questi due scrittori è meglio estrarre un passaggio al romanzo En Rade. Il soggetto stesso è assai striminzito, ma non è questo a costituire l'interesse del libro. Una coppia senza denaro, o quasi, si è rifugiata in un castello abbandonato lentamente invaso da una mostruosa vegetazione.

Tutto fa pensare che l'uomo sia uno scrittore, mentre la donna è affetta da una grave forma di nevrosi della quale non si conosce granché. Questo soggiorno quasi ostile a "porte chiuse" si rivela un incubo, tutto si fa minaccioso, ostile, opprimente, si ha davvero l’impressione di sprofondare in un buco senza fine. Sogni, incubi, occupano quasi la metà del libro. Citeremo il sogno del palazzo di Assuero.

"E questo palazzo che saliva tra le nubi con i suoi ammassamenti di terrazze, i suoi piazzali, i suoi laghi incastonati in rive di bronzo, le sue torri con gorgiere di merlatura in ferro, le sue cupole papellute di scaglie, i suoi fasci di obelischi dalle punte coperte d'un'eterna neve come picchi di montagna, si sventrò senza rumore, poi svanì, e. una gigantesca sala apparve pavimentata dì porfido, sostenuta da ampi pilastri coi capitelli fiorati di colloquintide in bronzo e gigli d'oro.

Dietro questi pilastri si stendevano gallerie laterali, con lastre di basalto azzurro e di marmo, dalle travature in legno di spino e cedro, i soffitti a cassettoni, dorati come urne; poi nella navata stessa, all'estremità del palazzo arrotondata come i capocroce invetriati delle basiliche, altre colonne si slanciavano serpeggiando fino agli invisibili architravi d'una cupola, perduta, come sfumata, nell'immensurabile fuga degli spazi.

Attorno a queste colonne riunite tra loro da spalliere di rame rosa, un vigneto di gioie si ergeva in tumulto, aggrovigliando cannutiglie d'acciaio, torcendo rami le cui cortecce di bronzo trasudavano chiare gomme di topazi e cere iridate di opali.

Dovunque s'arrampicavano pampini tagliati in pietre uniche; dovunque ardeva un braciere d'incombustibili ceppi, un braciere che alimentava i tizzoni minerali delle foglie tagliate nei diversi lucori del verde, nei bagliori verde-luce dello smeraldo, prasi del peridoto, glauchi dell'acquamarina, giallastri dello zircone, cerulei del berilio; dovunque, dall'alto in basso, sulle cime dei pali da vite, ai piedi dei fusti, spingevano delle vigne radici di rubini e ametiste, grappoli di granati e amaldine, "chasselas" di crisoprazi, moscati grigi di olivine e quarzo, dardeggiavano favolosi ciuffi di lampi rossi, lampi viola, lampi gialli, salivano in una scalata di frutti di fuoco … Qua e là, nel disordine di fronde e liane, crepitavano, a tutta volata, dei ceppi, aggrappandosi coi loro viticci a rami che facevano chiosco e all'estremità dei quali dondolavano simboliche melagrane i cui iati carmini carezzavano la punta delle colonne falliche spuntate dal suolo.

Questa inconcepibile vegetazione s'illuminava da sé; da tutti i lati ossidiane e pietre speculari incrostate nei pilastri rifrangevano, disperdendoli, i bagliori delle gioie che, riverberate nello stesso tempo dalle lastre di porfido, seminavano il lastricato d'un'ondata di stelle.

All'improvviso la fornace del vigneto, come furiosamente attizzata, rombò; il palazzo s'illuminò dalla base alla sommità e, sollevato su una specie di letto, il Re apparve, immobile nel suo abito di porpora, ritto sotto i pettorali d'oro sbalzato, costellati da pietre grezze, punteggiati da gemme, la testa coperta da una mitra a spirale, la barba divisa e arrotolata a cilindro, la faccia d'un grigio vinoso di lava, le guance ossute, sporgenti da sotto gli occhi infossati" (En Rade).

Visione di pittore, ma di pittore barocco e simbolista, possiamo vedere da questo breve estratto ciò che lo avvicina a un Gustave Moreau come ai preraffaelliti, a un Millais, a un Holman Hunt.

Sarebbe molto interessante studiare la nozione di insuccesso in Huysmans, Ballard e Dick (altro "esistenzialista") come pure quella del "divertissement". In Huysmans il problema fu risolto dalla sua conversione religiosa verso il 1895, conversione peraltro del tutto sincera. Quali risposte ci daranno Ballard e Dick… (l) Poiché ci diventa intollerabile vivere e accettare un universo del tutto contingente che esiste, si trova qui, non si sa bene per quali ragioni, non ci resta più, ed è questo il gesto più evidente e più corrente, che cercare rifugio in un altro, dove saranno fatalmente create nuove regole, forse diverse ma che non saranno per ciò meno regole, che ci appariranno probabilmente assurde, quanto quelle del mondo che si è lasciato, e per finire non avranno più "realtà", e così potremmo indefinitamente tuffarvi e passare di mondo in mondo (saremmo in pieno assurdo dickiano), senza trovare risposta. Il solo rifugio, quando se ne abbia la possibilità, resta la creazione artistica. Dalla condizione di attore passiamo a quella di spettatore secondo lo schema di Schopenauer, faremo della Nausea un oggetto di contemplazione, ce ne daremo una "rappresentazione", la metteremo in scena. Tuttavia questo atteggiamento non può essere che una tappa sulla via della guarigione, ma una tappa importante perché, lungi dall'essere un'evasione, questo atteggiamento è un contatto permanente tra l'essere e la quotidianità. L'assurdità sostanziale del mondo resta così triste, ma il piacere della creazione ci permette di sopportarla.

Sembra che il piacere estetico, come il piacere puro e semplice, sia assai ambiguo per natura e indissociabile da un significato tragico. Ogni cosa contiene il suo contrario, soprattutto in campo affettivo, campo particolarmente instabile. La ricerca del piacere tou court, anche il più raffinato, si converte sovente nel suo contrario, "la noia", "l'imputridimento"; in gusto di morte, così tutto sembra scorrere come nell’ordine materiale: le sostanze più delicate, le più fini sono quelle la cui decomposizione è maggiormente insopportabile. Sembra esistere nella nozione di "piacere" un principio d'accelerazione che ci decentra sempre più da noi stessi, e quanto più questo decentramento si accentua, tanto più ci allontaniamo dalla possibilità di comunicare, di percepire veramente, se non tramite artifici sempre più complicati. Così non è strano che Crash! Sia romanzo d’un barocco crepuscolare, d'una perfezione gelida da cui ogni vita non può che essere esclusa, non potendo questo universo tecnologico condurre verso la vita ma verso la morte; un mondo dove nessuna redenzione è possibile. Siamo lontani dal perfetto universo platonico di Foresta di cristallo che conduce ad una sorta di trasfigurazione. In questo romanzo i personaggi sono ancora esseri, individui; in Crash! non sono ormai che burattini mossi da stretti fasci di riflessi condizionati; e assistiamo ad un restringimento del campo della coscienza ben terrificante. Fuori dalla protezione del nylon, della plastica, del cromo, del metallo, dell'armatura-carapace della vettura i personaggi non sono che degli infermi, larve molli, mostruosi Bernardo-l'eremita alla ricerca d'un carapace protettore.



SONO VENUTO SOTTO LA FORMA DEL TEMPO, IL GRAN SPERPERATORE DELLE GENTI (Baghavad-Gitâ) (2)

Sappiamo che i mezzi per trasmettere le nostre concezioni dello spazio e del tempo cambiano, seguendo i dati socio-culturali.

Il che è più evidente, più percettibile, nell'universo pittorico, dove la coerenza spaziotemporale è più visibile. La scultura, l'architettura già ci chiedono un maggiore sforzo d'attenzione. Ma è la letteratura a darci più "filo da torcere" e gli scrittori che propongono giustamente le maggiori variazioni sui tali temi.

Non possiamo parlare a dovere che di quanto conosciamo: questo ci comunica senz'altro l'intensità persuasiva degli "spazi" di Ballard. Egli non sembra particolarmente legato a una nozione, una definizione di spazio e tempo. Tale spazio, tale nozione di tempo si definirà in funzione della necessità della storia (romanzi, racconti … ). Non si tratta, salvo eccezioni, di spazi inventati, di tempi immaginari. Ma spazi esistenti, tempi reali che semplicemente non ci sono familiari perché appartenenti ad altre culture, o cui l’autore fa subire qualche modifica, o amalgami come spesso fa Ph. K. Dick, in un contesto tecnologico diverso dalla loro civiltà d'origine. D'altronde né Ballard né Dick impiegano granché lo spazio euclideo proiettivo, almeno nella sua trasposizione letteraria; questo spazio rappresenta una specialità operatoria, dunque una limitazione del nostro spazio affettivo ed emozionale; e la funzione di ogni vera opera d'arte è di condurci oltre le strutture oggettivanti e impersonali, e renderci più aperti alle strutture topologiche e polidimensionali. Dunque nulla è mai misurato, verificato da prospettive fisse. Lo spazio di Vermilion Sands ha pochi contatti con quello di The concrete island e di Crash!. Ogni libro di Ballard ha proprietà temporali e spaziali indipendenti, che sole permettono di analizzare caratteri topologici: prossimità, separazione, ordine, continuità ... Nel ciclo di Vermilion Sands lo spazio e il tempo sottintendono meno percezioni d'insieme che tentativi di captazione, frammentari e analizzati, ma che è impossibile includere in una continuità. Abbiamo uno spazio frammentato, diviso, a volte incerto, non vediamo un linea d'orizzonte. Sappiamo di essere immersi nello spazio mentale dello scrittore, in un mondo del tempo interiore. Ma la nostra esperienza dello spazio esteriore è legata alla nostra esperienza interiore. Abbiamo il contrario di uno spazio imitativo: uno spazio a due dimensioni dove la terza è suggerita. Essendo spezzettato questo spazio non ha un tempo globale, ma delle serie di tempi particolari: non procede per ordine, ma per giustapposizioni. Possiamo parlare di durata simbolica, procedendo dalle immagini.

In fondo l'insieme di questi racconti si presenta come un vero tessuto cellulare, in cui sarebbero inclusi dei granelli spazio-mitici. Il tempo è come una polvere la cui erosione è più sottile, più leggera su esseri e cose … dolcezza diffusa e inquietante. Tempo vissuto! tempo interiore! la memoria ricrea e decanta gli istanti privilegiati, cerca di trarne qualche frammento. Anche la scena viene a rafforzare questo senso di nostalgia inesprimibile e nello stesso tempo di tranquillità. Questo Oceano di sabbia da cui emergono metaforiche falesie, e rocce a spirali erose, è riposante. La sabbia è un elemento ascetico, evocante la vita ridotta all'essenziale; anche la morte, ma con l'astrazione d'un disegno perfetto.

Non si può negare che spesso questo mondo cade in deliquio, che la materia talvolta è malata, che gli oggetti sembrano caricati di tutte le nevrosi e dominano completamente gli esseri che vivono attorno a loro. In questi universi che nulla hanno di euclideo vengono a confondersi oggetto e soggetto in un senso di torpore, molto tipico dei personaggi di Ballard che sembrano rifiutare il loro stesso essere, l'essere sociale e integrato, professione, famiglia, gruppi di amici, lasciando che il loro io si dissolva lentamente, lasciandosi lentamente invadere dal flusso crescente di quanto normalmente respingiamo, il che permetterà loro forse di accedere a qualcos'altro, un contatto con certi aspetti della realtà chi altrimenti non conosceremmo mai. Quando l'attuale uomo "civile" deve affrontare il contatto dello spazio senza il soccorso di tutto ciò che lo protegge, spogliato da tutti i suoi attributi, il suo rifiuto d'integrarsi a un ordine universale rende quasi impossibile, difficile, il suo adattamento a un ambiente nuovo. L'essere d’oggi si stacca difficilmente dalla collettività, è trascinato nella catena dei riflessi condizionati, della vita collettiva. Come si trova isolato e autonomo (è il caso dell'eroe di The concrete island) egli diventa simile a un microcosmo che vive, è obbligato a vivere la sua stessa vita, che si pone come un'esistenza di fronte all'esistenza del mondo, di fronte a uno spazio, a un mondo che si disinteressa completamente di lui. Quando l'uomo si credeva il centro del mondo, gli pareva di essere all'origine dello spazio che esisteva solo in sua funzione, ambiente che si dispone attorno a lui, a sua misura. È certo che i personaggi di Ballard sembrano mal sopportare gli spazi non chiusi, non inquadrati. Si trovano più a loro agio nello spazio labirintico e frammentato delle città piuttosto che negli spazi aperti. In un certo senso The concrete island appare come un romanzo più ottimista. Maitland ritrova un'identità, acquisisce, o è sulla strada di acquisire, la libertà, non sappiamo se vi giungerà realmente, perché il trucco sta nel prendere un surrogato di libertà per la libertà stessa, e lungi dall'essere un affrancamento questo errore ci imprigionerà nello stesso modo dell'esistenza alla quale abbiamo rinunciato. Non sappiamo quale sarà l'atteggiamento di Maitland quando uscirà dal suo buco, si può avanzare l'ipotesi che non ne uscirà mai più, salvo forse per brevi incursioni all'esterno. Ma questo romanzo è un sicuro progresso verso una forma di speranza. Questo non è certo il caso di Crash! dove i personaggi hanno pressappoco lo stesso margine di libertà delle palline d'un bigliardino. D'altronde tutto il romanzo evoca un gigantesco gioco elettronico, dando una sensazione di fuga continua; l'idea di fuga e di continuità indefinita che sembra essere espressa dai complessi insiemi di autostrade, molteplici nastri srotolantisi indefinitamente, immagini di un tempo inumano, puro avvenire che si divide senza sosta e che non si può riunire. Vogliamo sfuggire contemporaneamente alla vita e alla morte, allo spazio e al tempo: perché viviamo pochissimo nell'istante. La nostra vita sembra sempre mantenersi nel passato o nel futuro, non c'è adeguamento tra il nostro spazio vitale e il nostro spazio mentale. Riusciamo ad essere nel presente solo se forzati da una sensazione: paura, piacere, dolore, da qui la ricerca morbida e frenetica, propria, della nostra epoca, del divertissement. È un presente in punteggiatura, con ogni intervallo che ci reimmerge nei nostri problemi. Sembra che solo il "primitivo" e l'uomo decondizionato, il "saggio", riescano a vivere, a sentirsi essere, tra un minimo di passato e un minimo di, futuro.

Tutti i romanzi e racconti di Ballard sono opere statiche: Crash!, stando al suo argomento dovrebbe darci un'impressione opposta; nulla di ciò; è il nostro sentimento. Sembra che, sia la scena a spostarsi, a sfilare, con gli esseri relativamente statici. Ma questo dipende forse dal ratto che Crash! è un mondo chiuso, limitato, da cui l'impressione di un tempo circolare.

Infine sembra essere il sentimento di fallimento a predominare anche se The concrete island e Condominium lasciano la porta d'uscita, la salvezza è stata intravista, ma intravederla non significa raggiungerla.

La fuga in un universo altro, il rifugio in un mondo onirico e magico porta inevitabilmente all'insuccesso per ragioni molto semplici: questi universi non sono durevoli. Esistono solo sul piano dell'istante. Sono la concretizzazione di momenti perfetti, di stati privilegiati. Durano fin quando possiamo mantenerci al vertice di noi stessi, dunque, mai troppo a lungo, a meno di precipitare in ciò che si è convenuto chiamare follia, cioè il non ritorno; senza dimenticare che un mondo di sogno può benissimo mutarsi in un mondo minaccioso, un mondo d'incubo. La struttura dei racconti di Vermilion Sands è perfettamente rivelatrice di questi "stati di fessura". L'Universo dall'essenza della "foresta di cristallo" è praticamente inaccessibile, salvo per rarissimi eletti; la salvezza non può dunque trovarsi qui.

Quali insegnamenti possiamo ricavare dall'opera attuale di Ballard, quali significati immanenti? A queste domande ci sembra possibile dare varie risposte. In primo luogo il ricorso alla "scienza" non può affatto guarirci dalla difficoltà di essere, salvo con artifici. La scienza, come scriveva Heisenberg, non ci da un'immagine della natura, ma un'immagine dei rapporti dell'uomo con la natura. Gli eroi di Ballard sono esseri predestinati, senza particolari ragioni perché sia così. La predestinazione sembra assurda, ingiusta, ma i nostri concetti umani non hanno corso al di fuori di noi. Ricordiamoci del canto XI dell’Odissea: da un lato l'immensa massa dei morti, e dall'altra pochi eletti che, come Menelao, non si raccomandano per virtù particolari; perché Menelao e non Achille o Tiresia che è sempre stato un uomo retto e onesto? Nessuna spiegazione ci vien data. Il mondo sarebbe quel mostruoso scandalo che immergeva Kafka nel l'orrore! sentimento che si ritrova nelle religioni primitive. La prima operazione che dobbiamo praticare (quella di Maitland), è, evidentemente, sbarazzarci del mucchio di concetti acquisiti dalla nascita, disfarci del condizionamento che ha permesso lo sviluppo della nostra coscienza, perché se questo condizionamento era necessario per il suo sorgere, esso vi edificava attorno una prigione, una prigione dalla quale non ci è possibile evadere, pochi lo fanno, perché essa è confortevole rassicurante: al di là, è veramente l'avventura, la solitudine. Nuova nascita, così può definirsi l'atteggiamento quasi infantile di Maitland nella sua isola. Maitland e Laing reimparano poco a poco a vivere nella quotidianità! cioè a veder nelle cose più semplici, più banali, dei significati che erano incapaci di percepire in precedenza perché erano diventati estranei a sé stessi ed al mondo. Insomma la risposta sarebbe una forma di quietismo; finché l'essere non ha subito questa "rinascita" continua a creare condizioni materiali, sociali e psicologiche che sono in pratica la più sicura garanzia di un'impossibilità a risolvere i suoi problemi. Una volta "messi al mondo" di nuovo reagiremo a ogni domanda, non più in funzione del nostro vecchio condizionamento, ma con il nostro "nuovo cosciente". Non possiamo cercare la Realtà in forme stabilite e definite, perché ci rifacciamo soltanto alla forma, avremo tutte le possibilità di passarle accanto; per contro, se cerchiamo di apprenderla al di fuori di tutte le forme specifiche, avremo più probabilità di coglierla quale è in sé.


Jean-François Jamoul


Titolo originale: "Fragments trés provisoires"

da Opzone n.7, mars 1980, pagine 34/44

Trad.: Bruno Baccel1i


(l) Dick aveva già dato la sua risposta, e proprio in terra di Francia, con una conferenza, tenuta il 24 settembre 1977 a Metz, nella quale dichiarava di essersi convertito al cristianesimo gnostico. La traduzione francese della stessa si trova alle pagine 127/150 di "L'année 1977-1978 de la Science-Ficion du Fantastiqué", a cura di Jacques Goimard, Julliard 1978.

(2) Questo capitolo, e con la stessa titolatura, era già apparso, seppur in forma parzialmente diversa, nell'interessante ma altrettanto verboso saggio dello stesso autore "Pour le bon usage des espaces et des temsp á géométrie variable", presso la rivista Univers n. 07, décembre 1976, alle pagine 151/170.






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