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Il paesaggio, la follia e la catastrofe


di Alberto Poggi


Piccola ricognizione (a volo radente) sull'universo letterario di J.G. BALLARD


"Uno zoo non è completo senza il suo guardiano" (1)


La grande ossessione ballardiana nasce lì, nel paesaggio, e si riproduce nel continuo, estenuante confondersi dei due poli narrativi, spesso conflittuali, a volte dialettici, mai distinti, della malattia mentale e della catastrofe, ovvero gli stessi attraverso cui si sgretola l'immagine di una realtà tutt'altro che equilibrata, razionale, e verificabile.

È infatti in questo crescendo "paesaggistico", angosciante ed esteticamente ineluttabile che si muovono i protagonisti disarmonici delle sue storie "malate"; Powens (1), Kerans (2), Bridgman (3), Sanders (4), Crispin (5), sono accomunati da un profondo disagio interiore, vissuto inconsciamente (o meglio sarebbe dire in modo latente) e inconsciamente proiettato al di fuori di sé stessi, nel "paesaggio", in una sorta di gioco degli specchi che parla un linguaggio di fine "sublimazione", di impossibile "rimozione", di assurda adesione a condizioni di improbabile sopravvivenza, se non dichiaratamente di suicida, quanto delicata consapevolezza.

E proprio questa consapevolezza striscia freddamente tra la follia (estetizzante e dissociante) che è del mondo della catastrofe e quella di chi la catastrofe ha reso patologicamente "normali", nel ribaltamento di una già pur tenue sentenza di razionalità ancora presente nell'unificante Weltanschaung narrativa.

E se il tema "del doppio" assume le più inquietanti e mimetizzanti connotazioni - come già rileva nelle stimolanti schede relative a Ballard, il compilatore dell'opera collettiva "Nei labirinti della fantascienza" (6) - è pur vero che queste rimandano sempre al conflitto, spesso dialettico, a volte irriducibile, di una stessa "catastrofe", dove i termini rimangono quelli del paesaggio e delle sue connotazioni "inner" ed "outer", inscindibili e spesso complementari.

È chiaro allora, che accanto alla tensione verso la catastrofe, vissuta nella più assoluta consapevolezza e accettazione della tragica emarginazione che comporta, c'è la perfetta atemporalità della pazzia (condizione di assoluta libertà, come vedremo in seguito) qui incarnata fino in fondo dalla decadente bellezza del "folle" che ha già scelto, o meglio che è già stato scelto dalla "catastrofe", unico vero punto di riferimento per la comprensione di una Realtà mutata.

Così accanto a Crispin, c'è Catherine York, nel bellissimo "Storm-bird, storm-dreamer" (1967') alle soglie della frantumazione narrativa di "The Atrocity Exhibition" (1969), anche se lì lo squarcio nella comprensione/percezione spettacolare della realtà occidentale (soprattutto americana) è di invadenza polisemica senza precedenti in Ballard.

Kerans (2) rimanda ad Hardman, nella regressione dall'incubo triassico; Ramson (7) alle decadenti figure di Miranda e Richard Lomax, nell'altalena di personaggi in cui ruota il terzo (in ordine cronologico) dei suoi romanzi "catastrofici".

E poi ancora Powers (1), inseguito dal fantasma di Whitby incarnato dal folle ed ambiguo Kaldren e Sanders (4) che inconsapevolmente è attirato dalla figura di Ventress, l'architetto psicopatico vero signore della foresta di cristallo di Port Matarre, labirintica rappresentazione del conflitto ancestrale (o archetipale, come afferma lo stesso Sanders) tra opposti e sintesi affascinante di un intero mondo narrativo, qui giunto al suo contingente compimento (8).

L'ulteriore impennata sarà ricerca cromatica oltreché strutturale, su scale e prospettive diverse e i poli narrativi si stravolgeranno definitivamente nella contrapposizione/fusione tra realtà e irrealtà, tempo e spazio, storia e sogno, dicotomie sempre meno credibili nell'era dei simulacri (9), dove parafrasando Baudrillard la distanza tra follia e razionalità, spettacolo ed evento storico si è paurosamente assottigliata.


"Faulkner stava impazzendo a poco a poco" (10)


"Overloaded man" è del 1962 ma direi che semplifica magnificamente, quella che potremmo definire "la poetica della catastrofe", o meglio la sua essenza profonda, che altro non è se non quella dell'alienazione, della totale estraneità a questa realtà che va rifiutata perché priva di significato, come afferma il protagonista del racconto: "Spogliate del senso psicologico derivante dalla pressione pubblicitaria e dal loro potere di affermare il grado sociale del proprietario, esse rappresentavano una realtà così tenue, che bastava un piccolo sforzo mentale per farle scomparire del tutto" (10).

Così, ci accorgiamo che la catastrofe è prima di tutto qualcosa di interno a noi stessi, qualcosa che salta nel nostro rapporto col mondo esterno e ci impedisce di riconoscerlo e di accettarlo.

E siamo ad un passo da "The drowned world" (1963) dove "la catastrofe" diventa qualcosa "di fisico" e di ben identificato, anche se a differenza dell'opera immediatamente precedente ("The wind from nowhere", 1962) qui il protagonista riconosce "la corrispondenza tra segni esterni e processi interiori" (6) e abbandonandosi spontaneamente alla mutazione (regressione) dell'ambiente che lo circonda "vi si costruisce a poco a poco una propria realtà non alienata" (6).

Ora ciò che mi sembra interessante ribadire >è il senso di disagio interiore, di fallimento che contraddistingue immancabilmente i protagonisti di questo Ballard pre-Crash fin da prima della catastrofe esterna, che di fatto sancisce o magari acuisce una situazione, per così dire già compromessa. Allora "Quilter aveva capito che le frequenti visite di Ramson (…) denunciavano una riluttanza ad affrontare le sconfitte della vita" (7) e Sanders pensava "che almeno lì (nella foresta di cristallo) sarebbe forse riuscito a liberarsi degli interrogativi sui movimenti e sull'identità che lo riguardavano" (4).

Infatti sullo sfondo rimane poi questo bisogno di definirsi rispetto all'esterno ed in genere grava l'ombra di una "colpa" (tutta interiore), contrappuntata dall'indefinibile, anche se opprimente, presenza della "sanzione" (inconsciamente cercata e socialmente subita).

Così se da una parte esiste la consapevolezza che la costruzione di una propria realtà (quindi la risoluzione dei propri conflitti) passa attraverso "l'emarginazione della società" (6), dall'altra c'è l'inconscia volontà di morte, di annullamento in sé stessi, ovvero nel paesaggio (per ritornare all'immagine usata in precedenza).

"Forse il misterioso desiderio di andare a sud che aveva contraddistinto Hardman non era altro che un impulso verso il suicidio, una accettazione inconscia del suo regresso evolutivo?" (2).

E ancora Crispin, che trasformatosi in uccello (qui in fondo paesaggio) si lascia uccidere , senza opporre resistenza, o infine Powers, che gravato di una colpa non espressa ("pensavo di essere io il colpevole!" confessa), ritroviamo sfracellato sulla piscina di Whitby, finalmente immerso "nel fiume dell’eternità" (1).

Quindi "sottomettersi incondizionatamente alla mutazione ambientale" (6) vuol dire rispondere alla propria ambiguità, ma anche conservarla visto che la risposta è annullamento del rapporto col mondo esterno, è la scelta della regressione ad una vita completamente interiore, ad una sorta di animazione sospesa e frequente a questo riguardo è il richiamo al grembo materno come nicchia difensiva (in fin dei conti il paesaggio diventa una specie di grande madre in cui ci si dissolve) (11).

E così ai potrebbe arrivare al personaggio Traven ed al racconto "The terminal beach" (1964), vera chiave di volta di quella che sarà la produzione successiva a "The Crystal world" (1966), perché qui la catastrofe è già avvenuta e nei lunghi monologhi interiori del protagonista il rapporto col mondo non solo si è dissolto, ma addirittura capovolto.

Infatti, "se l'uomo primitivo aveva provato la necessità di assimilare gli eventi del mondo esterno alla propria psiche, quello del ventesimo secolo aveva invertito il procedimento; secondo questo metro cartesiano l'isola esisteva in un senso comune a pochi altri" (12).

Kerans (…) andò a guardare il quadro di Ernst (…) mentre Bodkin osservava la giungla dalla finestra. Sempre di più le due scene si assomigliavano ed entrambe risvegliavano nella sua mente il panorama del sogno" (2).

"… era incorniciata la riproduzione di un dipinto di Tanguy, "Jours de Lenteur". Con i suoi oggetti lisci, simili a ciotoli prosciugati, sospesi su un piano lavato dalla marea, quel dipinto aveva contribuito più di ogni altra cosa a isolarlo dalla monotonia della vita quotidiana" (7).

Se la "catastrofe" è fisicamente definibile, è anche vero però che "l'origine di tutto (questo) è più che fisica" (4), come sostiene lo stesso Sanders, o meglio ancora James B., il protagonista della versione in racconto (13) dello stesso romanzo.

Allora è chiaro che "la trovata fisica è il punto di partenza per una visione metafisica della realtà" (14), o ancora più a fondo "la cristallizzazione della vita (la catastrofe, ndr) è anche una metafora più ampia sul (…) rapporto tra arte e vita. In opposizione al mondo vivente (cioè) fatto di tensioni dinamiche e futili sta l'universo dell'arte, che è una sorta di perfezione temporale, di raggelante ed eterna bellezza" (14).

E il cerchio sembrerebbe chiudersi, anche se questa è solo un'ulteriore chiave di lettura.

Una chiave di lettura comunque centrale, se solo pensiamo al ciclo di "Vermilion Sands", che ha il pregio di attraversare trasversalmente l'universo narrativo di Ballard (dal 1956 al 1970) e che credo manifesti a questo riguardo qualcosa di più di semplici "suggestioni estetiche" (15), sia per il tipo di narrazione usata, sia per la stessa ambientazione.

Azzeccato mi sembra l'accostamento ai preraffaelliti, non solo per "le traslucide trasparenze" (6) che animano i ritratti scritti dall'autore inglese e che sembrano ricalcate da quelli, ma anche per le decadenti poetiche ispiratrici quelle loro tele, tutte intessute della tensione tra l'arte e la vita.

Così non è difficile ritrovare le tracce di quella stessa tensione e della sua collisione con la materia narrativa (di fatto esplicata in numerose costanti stilistiche e in ripetuti riferimenti contestuali) lungo tutto l'impegnativo tragitto letterario del nostro scrittore, che anche per questa ricchezza di rielaborazione e rilettura culturale, non può essere ristretto in un approccio tutto interno alla science-fiction.


"Quest'isola è una condizione mentale" (12).


Con "The terminal beach" apriamo dunque uno squarcio in quello che sarà la produzione nel Ballard post-"The crystal world", ovvero oltre la "poetica della catastrofe", in un universo "narrativo" che sviluppando alcuni assunti e alcuni luoghi "dello spazio interno" li porta alle loro estreme (quanto inevitabili) conseguenze.

Sul piano stilistico c'è il recupero e la rilettura dell'esperienza surrealista, però chiaramente il filtro e la prospettiva sono totalmente differenti e ciò e evidente nella costruzione di questo breve racconto del '64 che come ripeto gioca un ruolo fondamentale nella comprensione di opere come "The atrocithy exhibition" (dove tra parentesi il personaggio Traven ricompare emblematicamente a contrappuntare alcuni racconti) e naturalmente "Crash".

La narrazione sovrapposta e capovolta più volte, la frantumazione e disgregazione della trama, i lunghi monologhi interiori, in cui non esiste logica ma solo una razionalità dissociata dalla realtà, fanno de "The terminal beach" esattamente il racconto di un folle, di uno schizofrenico, in cui non riconosciamo più alcun termine di riferimento sicuro, ma solo brandelli stravolti di una realtà che è pure la nostra.

Così, oltre "la catastrofe" diventa impossibile codificare l'esterno di noi stessi, poiché i livelli di esistenza delle cose si sono confusi appunto come nel racconto di un pazzo. Non solo, ma se pensiamo a "The Assassination of John Fitzgerald Kennedy Considered as a Downhill Motor Race", troviamo una (testo andato perduto) come se fosse falsa, con uno spudorato quanto evidente (testo andato perduto) che ne rivela l’incredibile costruzione "immaginaria".

La mentale allora, pur continuando a giocare un ruolo centrale nella poetica ballardiana, perde il proprio significato di antagonista di una razionalità incapace di comprendere e accettare la realtà della catastrofe e diventa invece occhio attraverso cui questa stessa realtà (in cui la catastrofe si è già consumata) viene osservata.

E se Traven afferma delirando "che la bomba all'idrogeno (la catastrofe) è un simbolo di assoluta libertà (come in fin dei conti è l'arte" (12), questo è perfettamente conseguente a quanto alcuni anni prima Kerans aveva immaginato per sé, ovvero: "Per quanto avesse bisogno di Beatrice D., la personalità di lei avrebbe limitato l'assoluta libertà che egli chiedeva per la propria" (2).

Ed infatti Traven dopo la catastrofe sa "di aver il diritto, anzi l'obbligo di fare tutto ciò che vuole" (12).

L'inserimento poi di un ambiguo brano (tra verità scientifica e manipolazione fictioneer, come avverrà in "The atrocity exhibition") completa se vogliamo il quadro generale di questa visione a rovescio dell'inconscio (come sinteticamente si potrebbe definire "The terminal beach"): "La capacità distruttiva della bomba atomica (effettiva e potenziale) un giocattolo nelle mani dell'Inconscio. Gli studi sui sogni ad occhi aperti e le fantasticherie dei malati di mente dimostrano che le idee della distruzione del mondo sono latenti nei livelli inconsci della mente…" (12).

Allora, con lo spettro di Eniwetok che si aggira sull'isola, anche la domanda iniziale logicissima di Traven appare quella di un folle: "Che razza di gente potrebbe abitare in questa minuscola città di cemento (la cittadella degli esperimenti nucleari)?" (12).


Note

1) The Voices of Time, 1960 in "The four-dimensional nightmare" J. Cape Ltd; trad. it.: Le voci del. tempo, in Robot 18

2) The drowned world, 1963 J. Cape Ltd; trad. it.: Deserto d'acqua, Urania-Mondadori 648

3) The cage of sand, 1963 in "Passport to eternity" Triad/Panther; trad. it.: Rete di sabbia, in Urania-Mondadori 399

4) The crystal world, 1966 J. Cape Ltd; trad. it.: Foresta di cristallo, Pocket fantascienza, Longanesi

5) Storm-bird, Storm-dreamer, 1967 in "Disaster Area" Triad/Panther Books; trad. it.: Uccelli giganti, Urania-Mondadori 779

6) "Nei labirinti della fantascienza", 1979 – Feltrinelli

7) The burning world, 1964 Jonathan Cape Ltd; trad. it.: Terra bruciata, Urania Mondadori 417

8) Non sono d'accordo sul giudizio e quindi sulla collocazione complessiva che de "The Crystal world" danno Caimmi e Nicolazzini nel loro "Ritratto d'autore" in ROBOT 18 (1977). Essi affermano che il romanzo "(…) non riesce ad eguagliare in assoluto la perfezione de "The Drowned World" (…) per un insistito ripiegamento estetico, che, a volte, ne vanifica la linearità e pregnanza". Ora, se distinguiamo tra godibilità di un'opera artistica e sua economicità interna (ovvero utilizzo consapevole e funzionale di una certa struttura linguistica e narrativa) è indubbio che quello che lì è chiamato un "ripiegamento estetico" altro non è che un effetto (piacevole o meno) voluto e cercato dallo stesso Ballard (al di là della suggestione dell'assunto) ed in questa luce, il romanzo è quanto di più centrato Ballard abbia espresso prima di "Crash".

Pagetti (14) lo definisce "un elaborato pastice culturale" e sarebbe interessante (qualche accenno e spunto lo si troverà anche nel prosieguo del l’articolo) ripercorre i romanzi precedenti come opere preparative appunto a "The Crystal World" o meglio alla filosofia che il romanzo esprime in maniera così affascinante.

9) Lo scambio simbolico e la morte, J. Baudrillard,- Feltrinelli 1979" o anche "Simulacri e Impostura", Cappelli 1980

10) The overloaded man, 1962 in "The overloaded man" - J. Cape Ldt; trad. it. Dalla veranda, Urania-Mondadori 321

11) Interessante sarebbe analizzare a livello psicoanalitico il rapporto tra "la colpa" (mai ben identificata e definita, anche se sempre individuata in sé stessi) e il ritorno al "paesaggio", l'annullamento in esso. È evidente il carattere "incestuoso" della colpa e il senso di "punizione" e "liberazione" insieme contenuto nella ripetizione del gesto (naturalmente a livello simbolico).

Gli indizi per una simile interpretazione sono numerosi e richiederebbero una trattazione a parte. Qui citerò solo il racconto "The Gioconda of the Twilight noon" in cui lo schema che propongo è ripetuto dall'autore stesso nella trama. Non solo, ma parecchie frasi mostrano più di un aggancio in profondità. Ad esempio, sintomatico è il riferimento a Leonardo da Vinci ed in particolare propongo la seguente proposizione: "Come in molti altri dipinti di Leonardo, tutte le sue aspirazioni ed i suoi terrori si trovano nel paesaggio che fa da sfondo".

12) The terminal beach, 1964 in "The terminal beach" J. Cape Ldt; trad. it.: Terminal, Urania-Mondadori 764

13) The illuminated man, 1964 in "The terminal beach"; trad. it.: L'uomo luminoso, Urania-Mondadori 764

14) Carlo Pagetti in "Letture", Milano 1975

15) Robot 18, Caimmi e Nicolazzini: Ritratto d'autore 1977






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