Ballard: la critica
di Marcello Bonati
In questa sezione vedremo di dare una breve descrizione di alcuni altri contributi critici, la maggior parte dei quali già più volte citati nel corso del lavoro precedente.
Partirei da J.G. Ballard: ritratto d'autore di Giuseppe Caimmi e Piergiorgio Nicolazzini, sul n. 18 di "Robot" [1].
Innanzi tutto devo dire che la quasi totalità delle notizie biografiche sul Nostro qui utilizzate provengono dalla prima parte di tale saggio. La seconda parte, il cui sottotitolo è I suoi libri, parte con un tentativo di inquadramento storico dell'autore per proseguire con una rapidissima disamina di alcune sue opere di carattere generale.
In effetti gli stessi autori dicono di temere l'insufficienza delle loro "...indicazioni dei caratteri essenziali..." e non a torto. In effetti se questi Ritratti d'autore si sono a volte rivelati esaurienti, ciò non avviene in questo caso, forse proprio perché l'autore abbisognava di spazi più ampi.
Per restare nell'ambito di "Robot", sul n. 13 [2] troviamo una delle poche apparizioni della rubrica Letture curata da Giuseppe Lippi, in cui si legge anche di Condominium (High Rise, 1975). Decisamente positiva, come breve recensione, traccia un quadro del romanzo direi piuttosto centrato, parlando di violenza e agghiacciante cronaca dell'impossibile convivenza nel mega condominio. In ogni modo secondo Lippi il libro è peggiore sia di Deserto d'acqua che di Vento dal nulla, mentre secondo me sta fra i due suddetti quanto a qualità.
Ancora su "Robot" n. 3 [3] troviamo una recensione di Curtoni a I segreti di Vermilion Sands nella rubrica "Il libro del mese", in cui accanto all'invito alla lettura di tale opera si legge: "Riflussi culturali di diversa estrazione (simbolismo, surrealismo, decadentismo), convergono in queste pagine, per essere rielaborate dal genio narrativo dell'autore, inglobati in una struttura compatta e affascinante." Si accenna poi a Il gioco degli schermi come miglior racconto, "capolavoro". E quindi elogi sperticati, del tutto appropriati: "Il gioco delle immagini è continuo, incalzante, non lascia tregua al lettore; persone e paesaggi (forse gli unici veri protagonisti dell'intero ciclo) vivono di quel realismo fantastico che la fantascienza insegue sempre ma raggiunge di rado; e la forza di suggestione che ne nasce è enorme, particolarissima."
Sempre Curtoni, secondo me uno dei più interessanti critici italiani di Sf, troviamo sul n. 30, sempre di "Robot" [4] il bel saggio Dove finisce la realtà, in cui, dopo un discorso di carattere generale sul tema del rapporto realtà-irrealtà che caratterizza l'antologia La banca della memoria a cui il pezzo fa da apparato critico, troviamo trattazioni di quattro autori le cui opere hanno a volte, o spesso, trattato tale argomento, ovvero Farmer, Dick, Aldiss e chiaramente Ballard.
Nella parte dedicata al nostro spicca, soprattutto, tra gli elogi e i rimandi culturali, questa frase: "Se un difetto può essere imputato a Ballard è quello di aver trascurato la componente sociale della questione: le sue società distrutte, morenti, eleggono a protagonisti individui che vivono nella propria dimensione e basta", appunto direi estremamente importante, se non si tiene conto del quale si rischia di travisare il discorso. Io, più che di difetto, parlerei però di caratteristica, e personalmente non così negativa come quel "difetto" sembra voler significare.
Sempre di Curtoni c'è poi l'introduzione al racconto Amore e napalm, U.S.A. sul n. 8 di "Aliens" [5], di cui c'è da dire, prevalentemente, che si collega all'articolo di cui abbiamo appena trattato, ovvero del rapporto realtà-illusione, del fatto che in alcune delle migliori opere della migliore fantascienza degli ultimi anni il confine fra l'immaginario e il reale si fa sempre più labile: "E, per una volta, non mi si venga a dire che non si tratta di fantascienza: se non lo è, di che cosa si tratta? Di realismo? Staremmo freschi (il guaio è che, probabilmente stiamo freschi)", oltre all'indicazione che il testo, come già detto, è un estratto dal cult book The Atrocity Exhibition. [6]
Sempre restando nell'ambito delle riviste professionali, arriviamo all'ultima apparsa in edicola, ovvero "S&F-Scienza e fantasia" [7] della Italy Press, nel primo numero della quale troviamo accenni a Ballard in ben due articoli, L'altra via della catastrofe: la Gran Bretagna di Giuseppe Caimmi e Domani, l'apocalisse di Alex Voglino.
Nel primo se ne parla bene, nel secondo male, sintetizzando al massimo; il primo fa comunque un discorso civile, argomentato, mentre il secondo spara brevi sentenze, che fanno capire quanto abbia pestato i calli un autore così raffinato e colto a uno come lui esaltatore di sottogeneri quali sword & sorcery, space opera e similia: "...nefasto ictus cerebrale... valenze antimoderne... soffocante quanto vacuo psicologismo...", per arrivare a dire una bestemmia come che Ballard è "...illeggibile..." che più o meno è come dire che la Terra è piatta.
Passiamo quindi all'introduzione di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco a I segreti di Vermilion Sands, praticamente l'unico volume di testi del Nostro che qua da noi sia stato pubblicato col supporto di qualche tipo di apparato critico. Notevolmente arricchito da due lunghe citazioni da brani di Ballard (Salvator Dalì: the Innocent as Paranoid, in "New Worlds" n. 187, e il suo intervento alla Science Fiction Symposium, intitolato Science Fiction Cannot be Immune from Change, organizzato dall'Istituto National do Cinema a Rio de Janeiro nel 1969, quest'ultimo tradotto in Italia come La fantascienza non può evitare i mutamenti nel "Bollettino SFBC", "Galassia" 218); il saggio di de Turris e Fusco vede dapprima un tentativo piuttosto ben riuscito di collocare l'autore all'interno della storia della letteratura fantascientifica soprattutto come uno dei principali introduttori delle tematiche dello spazio interiore contrapposto a quelle dello spazio esterno; vedi, innanzitutto, l'enunciazione della necessità di trovare nuovi simboli che sostituiscano quelli classici come l'astronave e l'alieno.
Vi è poi un accenno alla tecnica letteraria che caratterizza alcune opere dell'ultimo periodo del Nostro, ovvero l'aver introdotto personaggi reali, o, direi meglio, personalità, divi dello spettacolo, uomini politici, persone di successo, come figure della fantasia esterna, secondo l'intuizione che lo scrittore non debba "...più produrre alcuna invenzione fantastica, perché l'elemento fantastico è già presente", per poi soffermarsi a lungo sul racconto Il gioco degli schermi ad esemplificare il concetto di intersezione fra spazio esterno e interno. Si giunge infine a trattare in specifico dell'antologia, l'altro: "...le onnipresenti ed emblematiche figure femminili intorno alle quali ruota la trama di ciascuna storia", a convalidare la mia impressione esposta nel saggio della loro centralità, per lo meno nelle due opere trattare. Il tutto si conclude con una annotazione di carattere bibliografico. Nel complesso, direi, un'ottima introduzione.
In La storia illustrata della fantascienza di James E. Gunn, Armenia 1977 (Alternate Worlds-The Illustred History of Science Fiction, 1975), troviamo, nel capitolo Il volto del futuro, a pag. 398, alcuni paragrafi su Terminal, indicato là erroneamente come Il delta al tramonto. Un breve riassunto con brevi cenni di commento: "...J.G. Ballard affronta l'argomento della morte, non direttamente ma simbolicamente" e "...la storia è evocativa... e il suo significato arriva elusivamente...", oltre a riportare un pezzo molto lungo del finale stesso. Il tutto è inserito in un discorso più ampio sul fenomeno New Wave: in generale, comunque, l'intero testo di Gunn non è molto valido.
A proposito di testi specifici sull'argomento New Wave, ricordo l'ottimo articolo di Gianni Montanari Il caso "New Worlds", "Robot" n. 11, l'intervista a Moorcock su "Aliens" n. 6 e il quarto capitolo di Ieri, il futuro di Montanari [8].
In quest'ultimo volume, pubblicato dall'Editrice Nord nel 1977, come primo libro della collana "Saggi", troviamo un intero capitolo dedicato al Nostro, il nono, dal titoletto James Graham Ballard: anatomia della coscienza indicativo comunque il sottotitolo del volume: Origini e sviluppo della fantascienza inglese.
Dopo un breve inquadramento del fenomeno New Wave in relazione al Nostro, Montanari procede ad una disamina cronologica di alcune opere, in una prosa e con una ricchezza di documentazioni che lo rendono decisamente interessante.
Dà molto rilievo al ciclo di Vermilion Sands, lasciandosi trasportare a un certo punto e tralasciando il metodo cronologico per parlare delle varie opere ivi comprese, visto che la loro caratteristica principale è proprio quella di seguire parallelamente buona parte della carriera del Nostro.
Interessanti soprattutto le notevoli indicazioni bibliografiche di pubblicazioni straniere sul e del Nostro, come varie interviste, interventi e i titoli e le date di alcuni dei suoi racconti sperimentali di Atrocity Exhibition non ritrovabili altrove, quali, oltre a quelli già citati, Wy Want to Fuck Ronald Regan (1968), Plan for the Assassination of Jaquelin Kennedy (1970), Princess Margaret's Facelift (1970).
Per finire, troviamo qui una frase molto ben azzeccata sulla centralità della donna nel ciclo di Vermilion Sands: "Il nucleo attivo di Vermilion Sands, come appare evidente, è costantemente la donna, presentata sempre a mezza strada fra il cliché angelico e quello demoniaco, con una netta propensione per quest'ultima tonalità e per una scarsa connotazione realistica." (pag. 162).
Sempre dalla Nord ecco l'articolo Chronopolis di J.G. Ballard: la città e il tempo di Francesco Marroni, sul numero uno di "La città e le stelle", rivista di critica fantascientifica a cura di Carlo Pagetti.
Estremamente interessante, inizia con un buon tentativo di chiarificare il concetto ballardiano di spazio interiore, impresa decisamente non facile, per mezzo di citazioni, quasi tutte in originale, da racconti e saggi del Nostro, commentati e decodificati per mezzo di un discorso critico direi piacevole, e, come si suol dire, che non fa una grinza.
Si passa poi a quello che è il nucleo concettuale dell'opera, ovvero un'analisi parallela con confronto dei due racconti Cronopoli (Chronopolis, 1960) antologizzata in Incubo a quattro dimensioni, e La civiltà del vento (The Ultimate City, 1976), che, sia per ambiente che per argomento danno adito a un'operazione culturale di questo tipo.
È il rapporto tra tempo interiore e tempo cronologico quello che viene a essere messo in risalto, il rapporto cioè tra la percezione soggettiva del trascorrere del tempo, e il tempo cronologico che scorre uguale per tutti, convenzione per il funzionamento della società.
Tornando per un attimo al lavoro di Montanari di cui sopra, troviamo questa importante annotazione sul racconto studiato nel saggio di Marroni: "(in) Chronopolis... Ballard chiarisce per la prima volta la presenza di una precisa Weltanschauung (visione del mondo); ciò che realmente lo interessa, sotto alcuni moduli fantascientifici, è un discorso concreto sulla situazione odierna dell'uomo, sul labirinto di fantasie di propaganda massificata a sfondo politico... di iconografie di beni di consumo che fluiscono intorno a noi" (il brano in corsivo è tratto dall'intervento di Rio di cui si è detto).
Nell'introduzione a L'arma omicida, dal titolo Una via per la fantascienza futura, di Valentino De Carlo, "Gamma" n. 8, leggiamo tra l'altro: "Applicando coraggiosamente al genere la tecnica letteraria e cinematografica delle libere associazioni di immagini e idee...", facendo poi chiaramente riferimento a Joyce. Arrivando al più specifico leggiamo, a conferma di quanto dissi io nel saggio: "Ballard non spiega nulla: di proposito dà soltanto gli elementi base del racconto, lasciando al lettore di orientarsi nel labirinto di fatti, personaggi, riferimenti storici e culturali, che agiscono in una narrazione a più dimensioni...". Vi è poi una sparata decisamente troppo grossa sulla salute mentale del Nostro, in riferimento a che cosa siano alcuni personaggi; non gli doveva stare troppo simpatico, al De Carlo: "...oppure soltanto le creazioni fantastiche di una mente malata a cui scienza e società non possono più dare alcun aiuto", dove decisamente arriva all'offesa immotivata, direi puerile.
Giungiamo dunque a due brani editi dalla Milano Libri. Il primo è una voce del Dizionario della fantascienza di Diego Gabutti, apparso a puntate, in fascicoli estraibili, sulla rivista prevalentemente di fumetti "Alter".
Si tratta della voce Vermilion Sands, a pag. 154. Costituita in gran parte da citazioni da articoli del Nostro, nelle poche righe scritte di pugno da Gabutti, di interessante si legge: "Arte, pubblicità, esistenzialismo... è l'immaginario della fantascienza intellettuale, la Vermilion Sand di Ballard.". E su quell'intellettuale non c'è proprio nulla da eccepire: benché spesso ritroso davanti alle etichette, questa definizione mi pare, forse proprio perché non specifica ma generica, accettabile, direi anzi appropriata.
Decisamente divertente, poi, a conferma di quel filone di umorismo che mi è sembrato di percepire nel sottosuolo dell'intero dizionario, questa frase: "L'immaginario Vermilion Sands di Ballard è infatti molto vicina, nel concetto, al pineto di D'annunzio...", per poi farsi invece più serio esprimendo credo quello che in effetti voleva dire col confronto del tutto inusitato e secondo me risibile col poeta nostrano: "...che gli scenari della fantascienza esigessero un Poeta che, lacrimevole, ne levigasse le superfici con la pretesa, non completamente assurda, di scendere in chissà quali profondità, era scritto...". Infine, una gran verità: "I segreti... raccoglie gli archetipi, anziché fingere di nuotare nel nuovo"; non quindi sperimentalismi estremi in cui si cerca il nuovo per il nuovo, il nuovo a ogni costo, come altre opere del Nostro, ma un’antologia in cui convergono molti degli archetipi fantascientifici per essere rivisitati dal genio surrealista dell'autore a rappresentare quel suburbio della sua mente che è quell'immaginario luogo di villeggiatura.
Sempre edito dalla Milano Libri c'è un articolo dell'ottimo Antonio Caronia, su "Linus" n. 8/1984, dal titolo Fantasy al sole, in cui, a pag. 113, si legge un commento all'ultima antologia del nostro pubblicata da noi Mitologie del futuro prossimo (Miths of Near Future, 1982). Breve, ma tutto interessante, oltre all'invito di prammatica ad acquistare il volume, vi spicca la considerazione che, per Caronia, sarebbe dopo le deludenti prove di Condominium e Ultime notizie dall'America un ritorno "al suo tema di sempre, la regressione dell'uomo in una realtà psichica che prende via via il posto del mondo esterno"; e che, a Ballard, sarebbe più congeniale la forma racconto che quella romanzo, considerazione, quest'ultima, sulla quale avrei alcune riserve, visti gli ottimi esiti, come abbiamo visto, di molte sue opere lunghe.
Come forse saprete, Caronia era uno dei promotori della rivista "Un'ambigua utopia" proveniente dagli ambienti della sinistra rivoluzionaria.
Il collettivo omonimo ha curato per Feltrinelli la guida critica Nei labirinti della fantascienza.
In essa troviamo, nella sezione riguardante Ballard, recensioni a due romanzi, Deserto d'acqua e Foresta di cristallo, forse i due meglio riusciti, una per quattro antologie in una volta sola, Il giorno senza fine, Incubo a quattro dimensioni, Il gigante annegato e La zona del disastro e infine un'ennesima recensione a quel Segreti di Vermilion Sands, decisamente l'opera ballardiana sulla quale si sono spese più parole.
La prima, dopo un riassunto, fa notare ciò: "È, come tutta l'opera di Ballard, un pezzo del grande incubo moderno, una visione di quello che potrebbe accadere o forse sta già accadendo dentro di noi", su cui posso essere d'accordo; ma vi è poi questa frase: "...la civiltà è morta, ma forse l'uomo si può ancora salvare se si sottomette incondizionatamente alla mutazione ambientale", .di cui invece direi che quel sottomettersi non è molto azzeccato; si tratta come abbiamo visto più che altro della narrazione degli effetti di una catastrofe naturale sull'inconscio umano, sui suoi strati più profondi: non sottomissione, dunque, ma piuttosto si tratta di interazione dell'outer space sull'inner space dei protagonisti i quali si adattano all'ambiente in quanto ne sono parte integrante, fino al midollo; le condizioni ambientali cambiano, cambia anche l'uomo, il suo inconscio così come il suo comportamento. Anche nella seconda recensione troviamo una frase su cui avrei da discutere: "...il rifiuto del nuovo mondo significa soltanto incapacità di capire la trasformazione e la sua origine", quando invece direi che è la narrazione del tentativo, per lo meno, di adattamento, del suo inizio, dei primi mutamenti sia comportamentali che interiori dei protagonisti in risposta ai mutamenti ambientali.
Si legge anche: "...lo sconvolgimento dell'ambiente rimanda a, anzi è, lo sconvolgimento che Ballard avrebbe voluto significare, con i suoi personaggi disastrati, il disastro interiore che vive l'uomo moderno, la sua difficoltà di adattamento. Credo che questo si possa dire con maggiore proprietà di The Concrete Island (vedi quanto ne dice Montanari nel suo saggio); nei romanzi della tetralogia degli elementi credo che rimanga più valida una interpretazione come quella da me esposta, nel senso che The Concrete Island è più allegorico, a quanto mi è sembrato di capire dalle varie critiche, mentre Foresta di cristallo è più realistico, narra dei fatti che potrebbero accadere, o meglio c'è un distacco più netto fra esterno e interno, distacco che in The Concrete Island invece viene quasi del tutto annullato.
Infine un'osservazione che trovo molto valida: "Ognuno di questi personaggi trova nella foresta ingioiellata la risoluzione di un conflitto, di una dicotomia che lo tormentava..."
Nella terza recensione, quella sulle quattro antologie, troviamo parecchi spunti interessanti, tra cui una definizione della Sf ballardiana: "La fantascienza di Ballard si occupa... delle modificazioni dell'inconscio individuale e collettivo di fronte alle trasformazioni sociali e tecnologiche.", che è un po' quello che voleva dire io, anche se sarebbe da aggiungere dopo "tecnologiche", "naturali".
Avverte, poi, della presenza nel corpus narrativo del Nostro di alcuni racconti sociologici atipici, ma, ben più importante, fa notare che: "Non troviamo [9] mai extraterrestri... il diverso, l'altro, il doppio, suggerisce Ballard, nasce dal dentro dell'uomo, si nutre delle sopravvivenze archetipali relegate dall'evoluzione fra le pieghe dell'inconscio"; osservazione del tutto centrale, come quella, nella pagina successiva, per cui "Il confine con la malattia mentale è esiguo, e Ballard non lo nasconde come forse ormai acquisita fin negli strati più profondi della nostra cultura, ma che non fa mai male riprendere, ogni tanto.
Vi è poi un accenno all'importanza del fattore tempo, dell'"osservazione della consapevolezza del tempo", tutta occidentale, per cui l'uomo è "sempre intento a imbottire la propria vita di cosidette esperienze significative."
A questo proposito interessante leggersi l'aforisma n. 329 della Gaia scienza di Nietzsche, Agi e ozio, a pag. 189 dell'edizione Adelphi, "Piccola biblioteca" n. 54, da cui riporto alcuni brani: "Ci si vergogna già oggi del riposo; il lungo meditare crea quasi rimorsi di coscienza. Si pensa con l'orologio alla mano, come si mangia a mezzogiorno appuntando l'occhio sul bollettino di Borsa; si vive come uno che continuamente potrebbe farsi sfuggire qualche cosa. "Meglio fare una qualsiasi cosa che nulla" - anche questo principio è una regola per dare il colpo di grazia a ogni educazione e ogni gusto superiore-nei rapporti con amici, donne, parenti, bambini, insegnanti, scolari, condottieri e principi: non si ha più tempo né energia per il cerimoniale, per i giri tortuosi della cortesia e soprattutto per ogni otium."
Infine, vi si accenna al fatto che in questi racconti si intravede sempre sullo sfondo la minaccia delle sanzioni sociali in risposta al tentativo individuale di riscoperta e riappropriazione di se stessi, quasi una risposta alla pulsione di non integrazione: "Man mano che vanno scoprendo la corrispondenza fra segni esterni e processi interiori, e si ricostruiscono quindi passo passo la loro realtà, i protagonisti di questi racconti scoprono anche il prezzo che devono pagare, l'emarginazione dalla società, da ogni forma di solidarietà.
Quarta e ultima recensione, troviamo l'ennesima riguardante I segreti di Vermilion Sands, di cui si dice la sua atipicità, e che "ci permette di sfiorare l'aspetto del Ballard esteta, raffinato pittore non a caso vicino ai tormentati personaggi di questi racconti", osservazione certamente meglio centrate che quelle del Gabutti di cui, comunque, sconsiglio la lettura, al contrario di questa guida critica di grande interesse in tutte le sue parti.
Passiamo ora a esaminare alcuni contributi critici che ci provengono dal mondo del fandom.
Iniziamo, per continuità, dall'articolo Simulacri e Science Fiction di Jean Baudrillard, apparso sul n. 1 anno IV di "Un'ambigua utopia", da un intervento dello stesso pronunciato al Convegno di Palermo su La fantascienza e la critica nell'ottobre 1978, e che, credo, sia già apparso in volume sempre presso la Feltrinelli. [10]
Dopo un discorso generale di, stampo sociologico, giunge a parlare di Dick e di Ballard, nelle cui opere, secondo l'autore, si troverebbe già espressa quell'inversione di tendenza che secondo lui sarebbe avvenuta nella Sf: "La science fiction... evolverebbe implosivamente, a immagine della nostra concezione attuale dell'universo, cercando di rivitalizzare, riutilizzare, riquotidianizzare dei frammenti di simulazione, dei frammenti di quella simulazione universale che è diventato per noi il mondo che si dice reale".
Nel paragrafo in cui tratta espressamente di Ballard, Baudrillard si sofferma esclusivamente su Crash dicendo che tale romanzo è "...il modello attuale di questa science fiction che non è più tale", e che in esso "non c'è più né finzione né realtà, l'iperrealtà le abolisce entrambe."
Credo che sia comunque indispensabile, per comprendere queste affermazioni, leggersi l'intero articolo: così decontestualizzate forse risultano poco significative. [11]
Giungiamo al volume James G. Ballard: Antologia della critica-Vol.1 a cura di Pippo Marcianò, edizioni Intercom Press, maggio 1981 [12]. Il sommario è parecchio ricco, e all’inizio troviamo tre opere saggistiche del nostro: Which Way to the Inner Space? ("New Worlds", 1962), tradotto da Bruno Valle col titolo di Come si arriva allo spazio interno?, il prologo a Crash; e infine l'intervista raccolta da Stan Barets e Yves Frémion il 9 ottobre 1976 a Parigi, e apparsa originariamente su "Universe" n. 08, e tradotta da Luigi Luminati, dove si accenna a un romanzo del Nostro dal titolo The Unlimited Dream Company di cui non ho trovato traccia da nessun'altra parte, e col quale avrebbe anche vinto il British Sf Association Award [13].
Il primo degli articoli di critica vera e propria è Ballard o dell'angoscia di Maurizio Nati del 1978. In esso l'autore inizia col trattare di High Rise, mettendo in ballo, inevitabilmente, il topos letterario spazio chiuso, tipico della Sf, e facendo un parallelo direi appropriato col bel romanzo di Silverberg The World Inside.
Accenno poi a The Wind from Nowhere, The Drowned World e The Burning World, dandone brevi ma interessanti chiavi di lettura. Interessante, quasi in chiusura, il raffronto inevitabile con Dick: "...lo strumento fantascientifico... finisce col passare in secondo piano di fronte agli aspetti più propriamente contenutistici e tematici. A suo modo anche Dick ha fatto lo stesso lavoro...", e il paragone delle suggestioni ballardiane con Hieronimus Bosch (1450-1516), che, come forse ricorderete, fu fortemente amato dallo stesso Dick.
Ballard deve essere un po' matto, sembra un'impressione di tutti: Nati, al proposito, dice: "Non saprei dire se Ballard è più sano o più alienato di noi. Non ci sono canoni validi per affermarlo con sicurezza, certo però che vede più di noi, e ha più coraggio di noi (ci vuole coraggio per guardare in faccia le realtà sgradevoli)".
A Nati Ballard dà angoscia, anche se gli piace, o forse proprio per quello; credo che sia quel "guardarsi dentro" che dia angoscia, e il bisturi di Ballard va parecchio a fondo: "Prima o poi dovremo fare i conti con la nostra verità: Ballard anticipa questo momento e ci offre l'immagine del disastro quotidiano, la reale dimensione dell'angoscia che è in noi e che forse nessuna religione potrà mai cancellare. Men che meno la religione dell'Uomo."
Troviamo poi un intervento "autorevole" di quel Brian W. Aldiss scrittore e critico rinomato: La terra ferita: J.G.Ballard (The Wounded Land: J.G. Ballard), tradotto dallo stesso Nati. Tratto da un saggio più lungo su tre scrittori inglesi, ricco di considerazioni interessanti, tratta in particolare dei racconti di Terminal Beach, facendo spesso considerazioni di carattere generale, che mi sembra interessante ripetere: "...l'intelligenza di Ballard consiste soprattutto nel suo repertorio di immagini che... può sorprendere e piacere per la sua capacità di affiancare idee altrimenti distinte"; "L’intelligenza unificatrice cerca sempre di armonizzare gli opposti e le incongruità; ...(questi tentativi) rappresentano uno sforzo notevole di trattare la disorganizzazione dei nostri tempi, nonché il più notevole contributo di Ballard alla fantascienza"; usando il "metodo del collage con l'arguzia di un catalogatore scontento delle categorie altrui" quale egli è.
Estremamente centrato il metodo a collage, così come mi è sembrata una buona definizione del lavoro di Ballard quella secondo la quale esso tratterebbe la disorganizzazione dei nostri tempi usando la sua intelligenza unificatrice per armonizzare.
Terzultimo saggio compreso in quest'ottimo volume, ecco Frammenti molto provvisori di Jean-François Jamoul (Fragments trés provisoires), tratto da "Opzone" n. 7, 1980, con la traduzione di Bruno Baccelli, di gran lunga il più interessante dell'intera antologia. Dopo un'introduzione di tipo sociologico, passa ad analizzare Ballard in rapporto alle arti decorative, in particolare al Barocco, parte in cui si tratta più che altro di Foresta di cristallo e Vermilion Sands. Di quest'ultimo si legge: "...è un'antologie delle grandi correnti pittoriche: simbolismo, romanticismo, preraffaellitismo, surrealismo, evocando a un tempo i nomi di Salvator Dalì, la pittura metafisica di Delvaux e De Chirico, lo ieratismo di Gustave Moreau e il lato tormentoso e soffocante di un Leonor Fini e di un Balthus."
Successivamente Jamuol raffronta Ballard col Sartre di La noia e con Joris-Karl Huysmans, l'autore, quest'ultimo, di A ritroso, 1884. Raffronti decisamente interessanti, in cui vengono a convergere alcuni degli elementi emersi precedentemente: per concludere con una domanda e con alcune risposte ad essa: "Quali insegnamenti possiamo trarre dall'opera attuale di Ballard, quali significati immanenti?"; "...Il ricorso alla scienza non può affatto guarirci dalla difficoltà di essere, salvo con artifici."; "(Alcuni personaggi di Ballard) reimparano poco a poco a vivere nella quotidianità. Cioè a veder nelle cose più semplici, più banali, dei significati che erano incapaci di percepire in precedenza perché erano diventati estranei a sé stessi e al mondo."
Eccoci quindi al pluricitato La parola nuda: aspetti del sincronismo apocalittico nella tetralogia degli elementi di J.G.Ballard di Domenico Cammarota.
Passionale, viscerale: profondamente vissuto, più che un vero e proprio articolo di critica letteraria qui si tratta di uno sfogo personalissimo ispirato dalla lettura di alcune opere di Ballard.
Si inizia con una analisi del linguaggio: "L'operazione effettuata da Ballard consiste nel raccogliere tutti i topoi dell'immaginario collettivo per fonderli poi ex novo nel linguaggio metodologico dell'industria culturale."; "L'unico altro scrittore che ha tentato un'operazione del genere è Philip K. Dick; ma mentre per il solipsista Dick l'universo è solo un'opinione, per Ballard il discorso è diverso; è Ballard stesso l'universo!". Ballard viene definito "l'ultimo horror-writer", in quanto "la fantascienza è ormai distrutta dalla presa di coscienza del reale". In ogni caso, un pezzo decisamente originale oltre che interessante.
Ultimo articolo di questo volumetto, eccoci a Il paesaggio, la follia e la catastrofe. Piccola ricognizione (a volo radente) sull'universo di James G. Ballard, di Alberto Poggi. Quel "a volo radente" qualifica molto bene il brano, breve e scattante. Si evocano temi che abbiamo ormai imparato a conoscere, come quello del doppio, dei conflitti ancestrali, archetipali; ci si sofferma poi sul racconto Terminal Beach che viene identificato come tratto d'unione fra i due periodi "Pre-Crash" e "Post-Crash".
Per completare questa carrellata ci mancano alcuni articoli apparsi su "Intercom-A Science Fiction Forum".
Nel numero 28, del gennaio 1982, troviamo l'articolo di Domenico Gallo Ballard: le sfaccettature del diamante, in cui si tratta di Ultime notizie dall'America e La civiltà del vento."C'è questa catastrofe che (è)... un tramite per studiare le reazioni dell'uomo, c'è l'indecisione se immergersi o meno nel nuovo ambiente, se evolversi con esso oppure cristallizzarsi in un altro tempo della coscienza, e infine c'è la scelta quasi obbligata, avventurosa, di vivere le nuove percezioni che la catastrofe offre.". Si passa quindi al raffronto con The Ultimat City, raffronto che, come ricorderete, Marroni fece con Chronopolis: "In entrambe accade che il protagonista si impegni a riaccendere la città abbandonata...", oltre a notare che vi è una "...evidente compenetrazione reciproca..." dei personaggi delle due opere.
Nel n. 61, del febbraio 1983, troviamo un articolo di Aldo Trivellato, Hello, America.Esso inizia con l'annuncio dell'inaugurazione di EPCOT, "…un megaconglomerato di quarantasette miglia quadrate, un'esposizione mondiale del miracolo elettronico... EPCOT sembra essere la puntuale realizzazione di una caratteristica fondamentale del sistema occidentale: la riproduzione indefinita, il simulacro". Da qui Trivellato prende spunto per un discorso sociologico molto interessante, citando Benjamin e Nietzsche: "...è il sistema che giunge allo sterminio simbolico, allo smarrimento di ogni referente, e quindi s'approssima alla propria fine, essendo ormai incapace di stabilire qualunque comunicazione... esattamente nel momento in cui esprime il massimo sforzo... di socializzare e comunicare". Trivellato tratta poi del romanzo di cui al titolo: "Hello, America sembra essere letteralmente il saluto (che ha il sapore del necrologio) a quell'America che produce l'EPCOT, i Pershing e i Cruise, a quel sistema in generale che affinando le proprie metodologie affila la propria spada di Damocle."
Nel n. 65 (settembre 1984), ben quattro articolo tutti incentrati sull'antologia Mitologie del futuro prossimo.
Il primo è Catastrofe e surrealismo in J.G. Ballard di Domenico Cammarota, in cui si tratta singolarmente di ciascun racconto dell'antologia. Vi si trova anche la nota che Crash sarebbe stato annunciato in prossima pubblicazione da Mondadori nella collana "Narratori Moderni" e poi dimenticato.
Vi è poi Ballard e l'onda infranta di Enzo Verrengia, critico che io conosco attraverso il suo bel lavoro su James Bond apparso su "The Dark Side" (nn. 2, 3, 4/1983, 1/1984), oltre che per un intervento su "Fahreneit 451" di Bradbury sempre su "TDS". Dopo una introduzione sulla New Wave in generale e un raffronto fra Ballard e Asimov ("James Ballard, l'uomo in questione, è un personaggio di culto al pari di Asimov, su un opposto versante, e condivide con lui il fardello di tutti gli innovatori, quello di aver avuto poi degli emuli, pochi buoni e troppi cattivi"), si arriva all'antologia suddetta: "Questa antologia degli ultimi racconti di Ballard appare subito datata proprio dalla sua straordinaria attualità... la grande assenza è quella di una fantascienza finalmente autentica". Qui l'autore comincia a manifestare apertamente il suo non apprezzamento verso Ballard. Continua: "Ma questa (quella dei racconti dell'antologia e di Notizie dal sole) è una trovata anti-fantascientifica, è una elucubrazione sugli effetti del mito-la conquista dello spazio-sulla coscienza collettiva, un'immagine del presente, non del futuro.". Infine su Ballard in generale: "...una fantascienza che impegna solo all'arrovellamento e non alla documentazione".
Terzo articolo, Las Palmas e Tarahumara di Claudio D'Ettore. In esso si accenna brevemente ad alcuni racconti dell'antologia, per poi giungere ad alcune considerazioni di carattere generale: "Lo spazio interno di Ballard è inghiottito da qualcosa che si è sviluppato a lato del surrealismo... L’esperienza interiore di Bataille... Ballard sembra accostarsi soprattutto ad Artaud del Paese dei Tarahumara...".
A concludere
questo quartetto di interventi troviamo Mitologie
del futuro prossimo: un racconto di Ballard di Mirko Tavosanis, in cui, per
l'appunto, si tratta di un racconto solo, e brevemente. Un elogio sperticato:
"denso... solido, compatto... caleidoscopico... si può considerare un
concentrato dei temi ballardiani...", con un breve riassuntino seguito da
considerazioni direi rapide ma che colpiscono il segno [14].
Infine parliamo di un articolo uscito su "A Foreign Fanzine", la cui traduzione doveva apparire su "Intercom", se non che il permesso di pubblicazione è stato ritirato a seguito di polemiche sollevate circa alcune citazioni e la loro corretta attribuzione [15].
L'articolo si intitola Surrealismo e catastrofe in James G. Ballard, l'autore, jugoslavo, si chiama Ziga Leskovsek. Tratta esclusivamente della trilogia Crash (1973), The Concrete Island (1974) e High Rise (1975), dapprima con considerazioni generali, quindi con brani specifici, parte questa piuttosto difficile ma senza dubbio interessante.
Di Crash, dopo un rapidissimo riassunto, scrive profusamente; dopo una lunga citazione, con successivo tentativo d'interpretazione, dice: "Si potrebbe sostenere che Ballard è incollerito per il modo in cui il senso dell'umano defluisce nel mondo meccanico, pubblicitario e del divismo cinematografico... J.G. Ballard chiama il suo perverso personaggio Ballard, senza concedere di proposito nulla a tutti i critici disperatamente in cerca di giustificazioni... Crash è una metafora estrema, un romanzo catastrofico del giorno d'oggi. Non riguarda qualche immaginario disastro, ma costituisce un ammonimento per tutti." Di The Concrete Island: "...piuttosto breve... è narrato in modo semplice, in uno stile che uguaglia il grigiore del paesaggio reale in cui è ambientato. Ballard lavora con un vasto lessico di immagini che trasmette e riutilizza più volte in innumerevoli combinazioni, alla ricerca di ansie morali e per realizzare le sue molteplici intenzioni letterarie.". Dal brano su High Rise riporto infine: "In High Rise un intero nuovo schema di relazioni sociali ha da venir costruito dal nulla, e l'inconscio barbarico, non represso, emerge per regnare incontrastato."
Quasi in conclusione vi è una curiosità su The Atrocity Exhibition: "...fu perfino mandato al macero senza entrare in distribuzione, dopo che alcuni responsabili della Doubleday lo lessero sentendosi offesi dai suoi contenuti".
Vi è quindi un raffronto fra la tetralogia degli elementi: "Si potrebbe dire che nel primo gruppo di romanzi Ballard lavori con una psiche rigida e un mondo malleabile, mentre nel secondo gruppo si occupi del mondo concreto e di una psiche capace di reazioni. In conseguenza di questo cambiamento la sua opera più tarda è in completo contrasto con l'introspezione dei primi romanzi. È oggettiva, quasi fino al surreale distacco."
Con queste parole termina quest'ultimo articolo; sicuramente ce ne saranno molti altri, ma sono questi quelli che ho potuto reperire e che abbiamo esaminato insieme [16]. Con questo dunque ho finito anch'io, sperando di aver tracciato un utile, se non per forza di case esauriente, profilo della critica ballardiana.
"La spada spezzata" n. 15, febbraio 1986
Milano, 2/10/1984
[1] "Robot" 18, Armenia 1977.
[2] "Robot" 13, Armenia 1977.
[3] "Robot" 3, Armenia 1976.
[4] "Robot" 30, Armenia 1978.
[5] "Aliens" 8, Armenia 1980.
[6] Per i molti sfortunati che non hanno in loro possesso una copia del n. 1 di "La spada spezzata", ricordiamo che Curtoni ha brevemente parlato di Ballard anche nel suo saggio Il diverso nella fantascienza, edito appunto in quella sede, e trascriviamo qui quella breve nota: "Una decisa rivoluzione di canoni è stata tentata, negli Anni Sessanta, dall'inglese James Ballard, che partiva da un rifiuto della razionalità soggettiva. Riallacciandosi ai viaggi nell'inconscio proposti dal surrealismo, riprendendo molte delle intuizioni junghiane, Ballard ricerca il diverso sul nostro pianeta, lo mette a contatto con i suoi personaggi, che ne restano inevitabilmente contaminati. Questa discesa nell'alienità si attua, con geniale maestria, secondo due direttive principali: da una parte la degradazione dell'ambiente tecnologico, dall'altra la degradazione dell'ecologia ambientale. I due processi, fondendosi, provocano un risveglio vivacissimo degli archetipi razziali; ed è quindi l'uomo, finalmente, il vero diverso, la creatura che scopre in sé i segni di una natura non codificata nel comportamento quotidiano." (pag. 17, Dicembre 1981) (N.d.r.)
[7] "S&F-Scienza e fantasia" 1, Italy Press 1983.
[8] "Robot" 11, Armenia 1977; "Aliens" 6, Armenia 1980; Ieri, il futuro, Nord 1977.
[9] quasi (N.d.a.)
[10] "La fantascienza e la critica", "SC/10" 103, Feltrinelli 1980. Il saggio di Baudrillard è a pag. 52 (N.d.r.).
[11] Per quello che possono valere diamo l'indirizzo e i prezzi indicati su quel fascicolo n. 2 del 1980: via Schiapparelli 4, 20125 Milano, £ 1500.
[12] Giuseppe Marcianò, appassionato palermitano, curò la fanzine "Intercom" fino al n. 27 (poi fu rilevata dai genovesi Bruno Valle e Domenico Gallo). L'indirizzo è via Starrabba 22, 90126 Villagrazia (Pa). Ho ripetutamente scritto allo stesso per avere notizie del fantasmagorico secondo volume dell'antologia su Ballard: nessuna risposta... che l'abbiano rapito i marziani?
[13] Non mi risulta che Ballard abbia vinto un British Sf Association Award, almeno non fino al 1977, anno al quale arrivano i miei dati su questo premio (N.d.r.)
[14] Detto questo vorrei ringraziare Giampiero Prassi, il boss di "TDS", per avermi prestato questo volumetto.
[15] L'articolo è apparso su "A Foreign Fanzine" n. 7, ottobre 1983 (c/o Roelof Goudriaan, Noordwal 2, 2513 EA The Hague, NL); il traduttore Bruno Valle a titolo privato ne mette a disposizione la versione italiana dietro rimborso per le spese di fotocopia e spedizione. Bruno Valle, via S. Pietro 5, 16035 Rapallo Ge.
[16] Da ricordare credo sia anche il saggio di Dario Sciunnach The Atrocity Exhibition, ovvero l'incubo esistenziale, apparso su "City" 15 (1984), che rappresenta uno studio e un documento su quest'opera di Ballard inedita nel nostro paese (N.d.r.)
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